Libero vs Senza Bavaglio: quando le comiche di Crozza diventano realtà

Speciale per Senza Bavaglio
Fabio Cavalera
Milano, 29 aprile 2019

Che bel vespaio ha creato il post pubblicato sulla mia pagina Facebook sui titoli di LIbero e sulla riunione dell’8 maggio al consiglio dell’Ordine con Pietro Senaldi. Buon segno.

Il direttore responsabile di quel giornale mi ha risposto con una pagina (che spreco di spazio) piena di “gentili” contumelie personali. Poi Vittorio Feltri mi ha dedicato un tweet per “disintegrarmi” dandomi nella sostanza del disonesto. Infine l’onorevole Gasparri (proprio lui) ha voluto metterci lo zampino con un altro tweet in cui mi invita alle dimissioni (se le sogna! magari si dimettesse lui). Forse sono tre medaglie e del tutto immeritate.

Al post (leggibile e di cui non cambierei una virgola) ho allegato le foto di diverse prime pagine di Libero, compresa una che ho volutamente inserito e che è una evidente ricostruzione satirica circolata in passato non fatta da me ma talmente azzeccata da sembrare vera (proprio come il Feltri di Crozza, mi ha suggerito l’amico Eugenio, talmente vero che non sai distinguerli). Mi hanno accusato di avere pubblicato una fake news.

Sono abili nel rigirare le frittate. Se fossero stati un po’ più tranquilli e sereni si sarebbero resi conto che gli avevo offerto una carta, venendo incontro ad alcune loro considerazioni: se non ve la prendete con la satira che titola “Adesso pure le negre” perché ve la prendete con noi e volete censurarci che titoliamo ad esempio “Calano fatturato e pil ma aumentano i gay”). Macché.

Li capisco: fa parte del gioco ed è comodo per motivi editoriali intuibili e legittimi cercare di creare il polverone e trasformarsi in vittime che non sono, magari per trovare il pretesto di non discutere. O per raccontare frottole del tipo che la riunione dell’8 maggio è un giudizio disciplinare. No, quello spetta al consiglio di disciplina di cui non faccio parte. L’8 ci si confronta, se si vuole. Altri decideranno se vi è stata oppure no violazione delle carte deontologiche da parte del direttore responsabile di Libero.

Ho scritto, il 25 aprile, una lettera garbata alla direzione di Libero. Ora, visto che è rimasta chiusa nel cassetto (non so oggi) la riproduco qui sotto assieme alle stesse foto della volta scorsa, compresa la pagina satirica. Tanto per dovere di cronaca.
Resta una considerazione che avevo già fatto: un conto sono le critiche e andare controcorrente e un conto è insultare, discriminare, banalizzare, soffiare sul fuoco. Nessuna censura ma responsabilità.

Caro Direttore,

ti ringrazio della pagina che mi hai dedicato con tanto di foto e di delicati “apprezzamenti” personali ma fa parte del gioco. Evidentemente il post su Facebook, che tu hai gentilmente ripreso per intero, ha colpito nel segno.

Lasciami dire che il problema non sono io con la mia “sciatteria” come la definisci (una delle otto o nove prime pagine di Libero che ho pubblicato era un evidente rifacimento satirico, cosa che in realtà ti avrebbe dovuto fare piacere venendo incontro alle tue tesi e comunque non cambia di una virgola la sostanza) e non sono io con i miei “scarsi e inodori” trascorsi professionali (in proposito dissento ma la tua considerazione non mi disturba e non mi offende, è l’arma banale e scontata che tutti i giornalisti suscettibili, piccoli o presunti grandi, usano per apostrofare il collega-avversario di turno, dunque pure io perdono la tua ovvia e inodore puntura di spillo).

In fin dei conti, il problema non sei neppure tu che, trovandomi d’accordo, rivendichi il diritto alle idee e alla fantasia, magari scambiandolo talvolta per diritto alla onnipotenza mediateca. Il problema semmai è come intendiamo la professione.

Ho sempre apprezzato, e tanto, le voci che escono dal coro e dal conformismo. Non mi interessa se di destra, di centro o di sinistra. Tutte le voci “contro” sono ai miei occhi meritevoli di attenzione e di plauso, purché non sconfinino nella discriminazione razziale, di genere, religiosa e nella volgarità. La mia storia e le mie battaglie personali dicono questo e molto altro. Poco importa che tu le conosca o meno. E poco importa che tu voglia passarci sopra o stracciarle. Va bene perché è copione.

Di questi tempi purtroppo si fa in fretta, anzi facciamo (ci sono pure io), a oltrepassare il limite della critica anche feroce, e a cadere nella trappola del livore e del risentimento che covano a livello collettivo. Al nostro diritto di informare (tuo e mio, di tutti noi) si affiancano i doveri dei giornalisti che spesso passano in secondo piano, lo sai meglio di me.

Abbiamo fatto i conti nel passato, e ancora oggi in parte, con il conformismo del “politicamente corretto”, il conformismo del finto progressismo vicino alle élite culturali e  politiche tradizionali. E ci siamo o indignati o ribellati. Ma non è l’unico conformismo pericoloso. Va ora di moda il conformismo populista dell’urlo, della vendetta, della paura, della discriminazione, della distruzione. Un direttore può cavalcare legittimamente questa onda ma mi pare corretto porre una domanda: come assecondarla, se tale è la linea editoriale, nel rispetto dei doveri che abbiamo?

Non è facile rispondere. Su un punto insisto: niente censura ma responsabilità. Non è in discussione la libertà di titolazione, sono in discussione la banalizzazione, la generalizzazione, il dileggio e l’aggressione alle categorie più marginali,  attenzione non al Potere. Trovi che sia questa l’informazione corretta? Soddisferà qualche lettore ma, per me, è conformismo, il conformismo populista che fa uso di un linguaggio feroce. Per caso ti sei iscritto alla categoria dei giornalisti conformisti per necessità e utilità di mercato? O perché  il vento tira da quella parte?

Stai certo che nessuno “odia” Libero, come scrivi. È vero il contrario. Quando vai controcorrente ti apprezzo. Quando trasformi le idee e la fantasia in conformismo populista con tutto quello che a  ciò si accompagna mi chiedo se siamo oppure no nei binari della responsabilità o della irresponsabilità.

Io non giudico, non posso giudicare. Lo sottolineo per chi non lo sa o non lo vuole intendere. Non è compito del Consiglio dell’Ordine lombardo dei giornalisti sanzionare o assolvere, è compito del consiglio di disciplina. Desidero solo capire il perché di certe scelte. Questo è lo spirito della riunione dell’8 maggio a cui, stai certo, parteciperò per ascoltare e discutere con rispetto (a proposito: l’ex presidente dell’Ordine nazionale ha confuso la mia appartenenza all’Ordine proprio con quella al consiglio di disciplina che opera su piani diversi, leggi bene).

La pagina che mi hai dedicato ieri (forse una immeritata medaglia!) mi conferma che l’iniziativa di sederci attorno a un tavolo è correttissima. Quei titoli di Libero sono satira? Sono cronaca? Sono critica? O violano le regole deontologiche? È un attentato alla libertà di stampa porsi tali dubbi e confrontarsi?

Buon lavoro

Fabio Cavalera

 

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