Mondadori: AAA esuberi cercasi per alimentare il business

Speciale per Senza Bavaglio
Valerio Boni
Milano, 11 gennaio 2019

Tra le basi della partita doppia in ragioneria c’è, da sempre, un concetto che non è scontato per i comuni mortali: i debiti e i finanziamenti bancari, che possono togliere il sonno, sono considerati nello stato patrimoniale come una fonte di risorsa esterna. Con il passare del tempo, c’è chi ha voluto superare questa definizione ed è stato in grado di trasformare in risorse non solo i debiti, ma anche il superfluo.

Mafia e camorra hanno insegnato come la spazzatura può diventare una fonte di finanziamento tra le più redditizie e pressoché inesauribile. Uno spunto troppo ghiotto per non essere sfruttato da qualche editore, che ha aperto la via per trasformare in un business sicuro la propria immondizia. Non la carta dei resi da destinare al macero, come sarebbe logico pensare per chi si occupa di stampa, ma una spazzatura ben più redditizia: i giornalisti.

Una possibilità aperta dall’addolcimento delle regole per il riconoscimento dello stato di crisi per le aziende, con la possibilità di accedere a cassa integrazione e contratti di solidarietà semplicemente dimostrando una previsione di contrazione degli utili, senza un’accertata perdita. In prima fila, nella nuova attività, si è schierata la Mondadori del nuovo corso, che con grande lungimiranza aveva iniziato in tempi non sospetti una lunga serie di dismissioni non ancora conclusa.

Tutto è iniziato nell’autunno del 2008, con la vendita dell’80 per cento delle tipografie di Verona e con un’inversione di rotta nella comunicazione. Fino ad allora era impossibile parlare di testate in difficoltà e, anche se i risultati erano negativi, all’esterno doveva arrivare solo un’immagine di superpotenza dell’editoria. Poi, da un giorno all’altro, la strategia è cambiata ed è cessato il divieto di denunciare cali di vendite ed esuberi.

L’occasione per testare la possibilità di trarre utili dalla spazzatura divenne concreta tra la fine del 2009 e l’inizio del 2010 con un doppio stato di crisi: uno per i giornalisti di Palazzo Niemeyer, il secondo riservato ai dipendenti della consociata ACI-Mondadori, a seguito della chiusura del settimanale “Auto oggi”. Si trattava solo dei primi timidi esperimenti, come confermano i numeri esigui dell’immondizia da smaltire e una sorta di pudore nel presentare il provvedimento.

A quell’epoca, nessun precedente lasciava immaginare che si trattava solo di un primo test per valutare quanto potessero fruttare cassa integrazione e contratto di solidarietà all’azienda. Anche perché, con la connivenza del CdR, l’attenzione fu spostata sull’aspetto economico, sul minimo taglio della retribuzione ampiamente compensato da un giorno in meno di lavoro a settimana, posizionato, peraltro, a ridosso del weekend.

Quasi in parallelo, nel gennaio 2010, partiva un mini contratto di solidarietà in ACI-Mondadori, dove erano stati individuati sette esuberi, scesi a due nel dicembre 2009 per effetto di una serie di trasferimenti. La riduzione, prima orizzontale con un taglio dell’orario di lavoro mai rispettata, poi verticale, durò solo quattro dei 24 mesi programmati, poiché all’improvviso la direzione del personale (comune alle due società) si rese conto che il personale in eccesso era concentrato nel reparto grafico e i quattro addetti furono trasferiti nella sede centrale, lasciando in ACI-Mondadori i sette “scriventi” e affidando l’impaginazione a un service esterno, nonostante la presenza di un art-director aggregato e pagato da un centro di costo Mondadori.

Nel corso del 2009, era stato effettuato un censimento affidato ai direttori per individuare gli esuberi, stimati inizialmente in 106 (dei quali 60 pensionabili o prepensionabili) su un totale di circa 500. Ogni redazione presentò il conto e tra i migliori si distinsero “Panorama” con 31 giornalisti da rottamare e “TV Sorrisi e Canzoni” con 16, numeri che non corrispondevano, però, a eccessi strutturali, quanto a semplici conti matematici.

Non era quindi il risultato di un calcolo obiettivo che tenesse conto dei carichi di lavoro, ma unicamente di un adeguamento delle spese agli importi stabiliti dai nuovi budget. In sostanza, era sufficiente stabilire la differenza tra l’importo a bilancio 2008 e quello a disposizione nel 2010 e determinare quanti stipendi potessero essere compresi in quella cifra. Ed ecco serviti i 106 esuberi.

Il numero preciso non è mai stato chiaro, perché gli stati di crisi si sono susseguiti a ripetizione, con decreti aggiunti in funzione delle disponibilità di fondi del Ministero per i prepensionamenti. In ogni caso, il primo accordo siglato prevedeva 89 eccedenze per AME e da 15 a 16 per le società consociate. Stabilire quale possa essere stato il risparmio, o il guadagno, derivante dal primo stato di crisi non è facile, ma è evidente che si parla di cifre importanti versate all’editore dall’INPGI, se si considera che si parla di 500 giornalisti interessati, con stipendi che all’epoca erano tra i più alti del settore.

L’unica certezza sono i 13,6 milioni di euro destinati dall’Istituto di previdenza agli ammortizzatori sociali nel 2010, anno in cui è entrato in vigore il decreto anticrisi, che prevedeva, tra l’altro, l’aumento del 20 per cento del trattamento di integrazione salariale (salito dal 60 all’80%), erogato dagli enti previdenziali in favore dei lavoratori coinvolti in programmi di riduzione dell’orario di lavoro per effetto della stipula di contratti di solidarietà finalizzati a evitare licenziamenti per esubero di personale.

In un rapporto sindacale del 26 marzo 2010, riferito quindi al primo quadrimestre del lungo biennio, il CdR evidenziava che 31 dei 32 colleghi in Cigs si erano dimessi, e altri 69 avevano risolto il rapporto di lavoro per effetto di pensionamenti, prepensionamenti, esodo incentivato o altri motivi non specificati. Nello stesso comunicato, il sindacato precisava che il 57 per cento dei prepensionati ha continuato a collaborare, non segnalando questa situazione come un’anomalia, ma come una conquista del CdR e dell’Assemblea Generale.

Una consuetudine che non si è interrotta negli anni seguenti, soprattutto per quanto riguarda molte figure apicali, rimaste di fatto al loro posto con contratti formulati in modo da non stridere con i “pesanti” stati di crisi e non erodere la pensione. Le soluzioni sono a questo proposito le più fantasiose, dall’inquadramento tra le fila dei pubblicitari di Mediamond, all’intestazione del contratto a parenti o società di comodo.

L’appetito vien mangiando, così, una volta capito il meccanismo del nuovo business, Mondadori ha nuovamente cercato di trarre benefici dalla spazzatura. Con un’attenta opera di “ottimizzazione delle risorse”, concretizzata in una riduzione delle tirature e di una revisione della distribuzione si è accelerato il processo di erosione delle copie e la conseguente chiusura di sei redazioni. Gli esuberi sono magicamente tornati a lievitare, così il primo giugno 2013 è partito un nuovo stato di crisi biennale che ha interessato 87 esuberi, ben più remunerativo del precedente, considerando che in termini percentuali la crisi appariva più grave, visto che i dipendenti non erano più i 500 di tre anni prima.

In questo panorama, sei degli otto esercizi tra il 2010 e il 2017 sono stati chiusi con un utile, arrivando anche alla distribuzione di un dividendo agli azionisti, 0,17 euro per azione, nell’anno del primo stato di crisi, che suona come un’offesa. Per la verità, il 2010 non sarebbe dovuto essere l’unico anno di ripartizione degli utili, se ne è parlato anche in tempi più recenti, salvo poi rinunciare per salvare le apparenze, destinando gli importi alle riserve e ai bonus milionari per i manager, che in più occasioni sono stati impegnati in giochi di equilibrismo per far convivere l’immagine di un’azienda che produce utile e allo stesso tempo dichiara di essere in crisi.

Flair, una delle riviste chiuse dalla Mondadori

Mantenere vivo il gioco è facile quando si corre il rischio che gli esuberi si esauriscano, si estrae dal cilindro qualche altra testata in crisi, così si ha la libertà di mettere in campo nuove soluzioni creative per tagliare i costi e generare utili. Lo conferma l’accordo annuale siglato nel giugno 2017, che identificava nuovamente 38 esuberi, equamente divisi tra colleghi prepensionabili e redattori giudicati superflui, sempre secondo calcoli non strutturali, ma legati al conto economico.

Anche in questo caso, la cassa integrazione per i 216 colleghi sopravvissuti prevedeva astensioni dal lavoro a carico dell’INPGI e tra le clausole si aggiungeva il patto che le eccedenze sarebbero state considerate azzerate indipendentemente dal numero di uscite. Ma gli impegni, come ormai consuetudine per la Mondadori del “cambio di passo”, non rappresentano un obbligo, così il piano varato tra luglio e la fine del 2018 ha visto apparire nuovi esuberi.

Ormai le eccedenze non rendono più come ai tempi del primo stato di crisi, perché i risparmi garantiti da 200 dipendenti non possono essere quelli di 500, ma la politica è quella di non rinunciare nemmeno ai centesimi. Ecco allora che i tagli non risparmiano nulla, nemmeno i tre giorni che tradizionalmente la Mondadori regalava ai giornalisti nel periodo natalizio, ridotti a due. Senza dimenticare che anche in tema di vertenze le strategie sono cambiate: l’ufficio legale interno costava troppo, così le cause sono affidate a uno studio esterno (pagato a gettoni di 6.000 euro) il cui obiettivo primario è quello di ottenere, rinvio dopo rinvio, un allungamento dei tempi per arrivare agli accordi stragiudiziali o alle sentenze il più tardi possibile.

Però tutto ciò non basta, aumentare l’utile riducendo le attività diventa impegnativo, così l’ultima frontiera è quella del taglio “volontario” dello stipendio, applicato con successo con le redazioni di “TuStyle” e “Confidenze”, un po’ meno con i giornalisti in uscita con la redazione di “Panorama”. Una tattica che oltre all’aspetto sgradevole della volontarietà coatta, aggiunge quello della violazione delle norme che regolano uno stato di crisi.

La concessione degli aiuti dovrebbe essere vincolata a progetti di salvaguardia e ristrutturazione positiva, mentre dal 2010 Mondadori non si è preoccupata di questi aspetti. Il taglio degli stipendi e l’uscita di 17 dipendenti sono elementi che modificano profondamente un accordo e avrebbero richiesto un’immediata revisione delle clausole. Quindi non resta che attendere, nei prossimi mesi sicuramente qualche nuova soluzione per trasformare in utili la (ormai poca) spazzatura rimasta uscirà dal palazzo di Segrate.

Valerio Boni
Senza Bavaglio
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