Bugie e promesse non mantenute: i Giochi senza frontiere di Mondadori France

Valerio Boni

Speciale per Senza Bavaglio
Valerio Boni
Milano, 19 dicembre 2018

“Rien ne sera signé en 2018”, niente sarà firmato nel 2018, non è certo una frase rassicurante per gli oltre 200 dipendenti di Mondadori France che stanno per essere scaricati da chi nel 2006 aveva lanciato la campagna transalpina con grandi proclami. Non rassicura perché mancano solo 11 giorni alla fine dell’anno, e perché i parigini sono meno ingenui dei loro colleghi italiani. Sono ben più decisi quando si tratta di far valere i propri diritti; i “gilet jaunes” sono solo l’ultimo esempio di quel che sanno fare quando c’è solo la percezione che qualcuno possa pensare a calpestare un diritto, e sono diffidenti per natura.

Soprattutto quando hanno a che fare con personaggi che già in passato e in più occasioni hanno dimostrato che gli impegni hanno solo il compito di rassicurare la controparte per ottenere un abbassamento della guardia e colpire con più efficacia.

Parigi dista un migliaio di chilometri da Segrate, troppo pochi per evitare che le notizie arrivino in tempo reale. Conoscono alla perfezione ogni bugia del nuovo corso Mondadori, a cominciare dalla prima, quella datata 16 febbraio 2012: nel corso di una riunione di budget la proprietà dichiarò: “Nel budget del 2012 l’azienda non ha previsto chiusure di testate”.

Un proclama che ricorda da vicino quello francese, accolto all’epoca con entusiasmo dal CdR, che arrivava al termine di uno stato di crisi (il primo di una lunga serie) ottenuto “sulla parola”, semplicemente sulla base delle previsioni che annunciavano un possibile assottigliamento degli utili. In realtà le cose andarono diversamente, perché proprio nella primavera dello stesso anno cominciò il piano indiscriminato di alleggerimento con la chiusura di HP Trasporti, di ACI-Mondadori e di Panorama Economy a maggio.

Poi, a ottobre, fu una vera e propria strage tra le fila della consociata Gruner+Jahr-Mondadori (oggi 100% Mondadori) con la fine della pubblicazione di Focus Extra, Focus Domande e Risposte, Focus Brain Trainer, Wars, Biografie, Jack, Geo e Focus Wild. Non male come dimostrazione di rispetto degli impegni. Giusto all’inizio dell’anno seguente toccò poi a Panorama Travel, Men’s Health, Casaviva e Ville e Giardini, oltre alla UOR, la neonata unità operativa redazionale che aveva rivoluzionato il settore delle riviste Mondadori dedicate alla TV. E siamo solo al 2013.

Tra il 2014 e il 2018 la lista di bugie, ma in molti casi è più corretto parlare di menzogne, è lunga almeno quanto quella delle dismissioni che hanno portato l’azienda a perdere il ruolo di primo editore italiano, come recentemente rilevato dal Focus di R&S Mediobanca. Ora che è stata superata da RCS deve accontentarsi del ruolo di primo editore digitale dopo l’acquisizione di Banzai con un assortimento di siti non registrati in Tribunale e senza un direttore responsabile.

Erano solo le prove generali di manovre ben più incisive, al punto che la chiusura di Flair nel dicembre 2016 che ha coinvolto solo quattro giornalisti ricollocati può essere classificata come un piccolo danno collaterale. Effetti ben più devastanti li hanno avuti la fine dell’accordo con ACI che ha visto riassorbire solo tre colleghi su sette, la vendita “a orologeria”, con due anni di dote ai giornalisti di Ciack e delle riviste di informatica, e l’accordo capestro che ha imposto un’autoriduzione degli stipendi dei redattori di Confidenze e TuStyle per scongiurare la vendita in blocco a un fantomatico editore croato, tale Andelko Aleksic.

Operazioni che viste singolarmente sono vergognose, ma che rappresentavano solo le prove generali per il capolavoro portato (solo parzialmente) a termine a novembre con il caso Panorama. L’obiettivo era chiaramente quello di ottenere un taglio importante prima della cessione a La Verità, in modo da rendere più leggero lo zaino contenente i 24 mesi di retribuzione da assegnare a ogni giornalista, per ottenere un doppio vantaggio.

Ma per fortuna qualcosa non ha funzionato, nonostante il pressing della direzione del personale che ha tempestato di telefonate i giornalisti durante la notte della vigilia per cercare di concludere un affare che senza una determinata percentuale di dipendenti da trasferire non si sarebbe conclusa. Così l’accordo è riuscito a metà, con una parte che ha ceduto al ricatto (anche allettata da promesse che non saranno mai mantenute) e un’altra passata di mano con uno stipendio pieno.

Potrebbe essere finita qui, ma è difficile credere che Mondadori perderà l’occasione di dare una sfoltita a due altre redazioni da tempo sotto osservazione: la storica Starbene passata da più ristrutturazione e Il mio Papa, il settimanale nato solo nel 2014 che pare abbia già esaurito la sua forza.

Lavoratori della Mondadori France a Parigi il 18 ottobre 2018. In sciopero innalzano un cartellone con la scritta “Mondadori France non distruggere i nostri giornali e il nostro lavoro”. Protestano contro la minaccia di licenziare 700 persone in seguito all’annuncio dell’acquisto della sociatà da parte del fantomatico gruppo Reworld Media. (Foto di Bertrand Guay/AFP)

I francesi sono perfettamente al corrente di tutto questo e non hanno intenzione di essere i prossimi a subire passivamente e con il benestare del sindacato i progetti di un editore senza scrupoli. Perché con scarsa fantasia i manager possono contare solo sulle strategie già collaudate, e Reworld Media ricorda da vicino la European Network che avrebbe dovuto rilevare Confidenze, con solo 14 giornalisti assunti. E dipendenti di Mondadori France temono di fare la fine dei colleghi di Panorama, che dopo anni di vacche grasse sono ora costretti a lavorare in un open space in coworking, senza collegamenti con le agenzie di stampa.

A differenza di quanto è stato fatto a Segrate, però, a Parigi si sono mossi per tempo. Non ne resta molto, l’affare dovrebbe essere chiuso all’inizio del 2019, ma l’obiettivo è quello di ottenere garanzie prima che sia troppo tardi, non inseguire miraggi. Lo sciopero del 12 dicembre non punta a una contrattazione diretta con l’azienda, quanto a chiedere un intervento deciso del fresco ministro della cultura Franck Riester. I dipendenti Mondadori France mandano a dire a Pascal Chevalier, presidente di Reworld, che non saranno una preda facile da digerire.

A partire dal 2013, Reworld Media ha fatto da collettore di testate in difficoltà rilevate da Gruppi importanti, molte delle quali hanno ben presto cessato le pubblicazioni. Mentre le redazioni sono state svuotate, per rimpiazzare i giornalisti con server esterni e cancellare il confine tra servizi e contenuti pubblicitari. Esattamente ciò che avviene da noi, ma i colleghi francesi sono più decisi a non lasciarsi calpestare dall’arroganza e hanno una strategia ben precisa per non farsi abbindolare:

“Restare uniti, non abbassare la testa e mantenere alta la pressione per far sentire la propria voce. Solo in questo modo il Governo si muoverà”. A quanto pare qualcuno dovrebbe andare a scuola a Parigi.

Valerio Boni

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