Speciale Per Senza Bavaglio
Annalisa Pagano
Milano, 28 ottobre 2021
COMPAGNI: LA COLLETTIVITÀ SOMMERSA
Quando Eleonora e Matilde mi hanno comunicato che avrebbero iniziato a lavorare su un romanzo riguardante l’esperienza di attivismo che avevamo vissuto e condiviso, in un tempo non troppo lontano, a Messina, sono rimasta un po’ perplessa. I miei dubbi riguardavano l’intenzione che il lavoro di scrittura avrebbe portato con sé: report nostalgico di tempi andati? Cronistoria di eventi cittadini? Autocelebrazione? In ogni caso lì per lì ho deciso di mettere a tacere i miei dubbi, sono un’amante della possibilità ed in quanto tale ho deciso di mettere da parte tutti i pregiudizi che mi affollavano i pensieri e di appoggiare lo slancio creativo, emerso da un bisogno interiore, delle due autrici di “Compagni”, NullaDie edizioni.
“Compagni” post pubblicazione: cosa è emerso dalla realizzazione nero su bianco della narrazione?
Sono onestamente contenta di aver fatto epochè, di aver messo da parte i miei pregiudizi per aprirmi alla possibilità. “Compagni”, come ci hanno tenuto a specificare le due autrici in più occasioni, è innanzitutto un romanzo. Non esiste una cronistoria, non esiste una dettagliata descrizione dei singoli che hanno individualmente abitato il tempo dell’esperienza reale di un progetto chiamato Pinelli. Ci sono tante personalità, reali e non, confluite e mescolate nei vari personaggi di fantasia; ci sono le caratteristiche e le peculiarità dei singoli, che si fondono con la caratterizzazione dei personaggi; c’è la volontà della collettività, presente tanto nella realtà, quanto nel racconto di fantasia.
“Compagni” racconta l’esperienza sociale e politica di un gruppo di giovani che vivono in Sicilia. I protagonisti principali sono Michela, Giuditta, Chiara e Ivan, studenti di Filosofia che con altri compagni fondano il collettivo Zapata. Attraverso il collettivo, itinerante perché sempre soggetto a sgomberi, i giovani che ne fanno parte sono protagonisti di una serie di vicende, da queste emergono le vite fragili e precarie dei singoli che formano il gruppo. I compagni, attraverso le loro azioni, provano a costruire una nuova comunità, un Noi, in grado di costruire una nuova politica che concepisca un modo altro di stare al mondo, in un mondo in cui l’ideologia è morta e al collettivo si è sostituito l’individuale. Il libro, scorrevole e dialogico, dà al lettore la sensazione di essere lì, con i compagni, a vivere e sentire tutto ciò che è finemente riportato. È facile immedesimarsi nei personaggi ed immaginare gli ambienti abitati dall’insieme di giovani con gli occhi ed il cuore pieni di speranza. Il testo riporta la mente a quando c’era un credo comune, l’idea che se affrontato insieme, il mondo può diventare un posto migliore.
Perché oggi è importante la narrazione di “Compagni”?
Come ho già scritto, “Compagni” porta con sé l’esplicitazione della volontà della collettività. Nel tempo dell’isolamento, dell’individualismo e della solitudine, la parola collettività ci risulta ormai estranea. Quel tempo di attivismo a Messina, che non è molto lontano, è in realtà inevitabilmente troppo lontano. La lontananza temporale è dettata dai cambiamenti sociali e societari che hanno scandito le nostre vite. Dal 2008, anno in cui l’esperienza collettiva messinese è iniziata, al 2021 le nostre vite e le nostre abitudini sono cambiate radicalmente: i social assorbono il nostro Io, assorbono le nostre frustrazioni e la nostra necessità di confronto, ciò che un tempo avremmo avuto bisogno di comunicare indicendo un’assemblea collettiva, adesso si esaurisce divenendo oggetto di discussione di un post su Facebook. Il colpo di grazia della collettività è stato inferto dalla pandemia da Covid-19: costretti al distanziamento sociale ed all’isolamento, per motivi di salute pubblica, siamo ormai incapaci di confronto vis-a-vis, di associazionismo, di collaborazione e cooperazione. Oggi non sappiamo più come comportarci nello spazio collettivo.
In un recente articolo, pubblicato su Internazionale, Slavoj Žižek scrive: «La disintegrazione dello spazio pubblico è al suo peggio negli Stati Uniti, e può essere illustrata bene con un dettaglio della vita quotidiana. In Europa il pianterreno di un edificio è contrassegnato con il numero zero, e quello sopra è il primo piano. Ma negli Stati Uniti il primo piano è quello al livello della strada […] gli europei sanno che, prima di cominciare a contare, dev’esserci un “terreno” comune accettato […] Al contrario negli Stati Uniti, terra priva di tradizione storica premoderna, questo terreno non esiste»; posto che, come sostiene Žižek esista ancora un terreno comune, se siamo incapaci di utilizzarlo, perché ormai abituati ed assuefatti al solipsismo, che cosa ce ne facciamo?
La posta in gioco riguarda qui l’analisi di due questioni fondamentali:
1) Esiste ancora un terreno comune?
2) Saremo capaci di riesumare la volontà di collettività e di stare con l’Altro?
Sembra che l’epoca attuale ci abbia sottratto in questo momento non solo il tempo e la possibilità, ma anche il luogo. Lo spazio pubblico è diventato ormai lo spazio del divieto, del controllo e della non abitabilità. Le circostanze pandemiche certo non hanno aiutato, ma credo che il processo dello svuotamento dello spazio pubblico sia iniziato molto prima, forse quando ad esso si è creata un’alternativa virtuale, capace di soddisfare con pochi click la nostra necessità di co-abitazione.
La situazione esperienziale che viviamo oggi è quella della saturazione, siamo talmente immersi nella collettività digitale, da pensare di non avere bisogno di nessun altro tipo di collettività. Siamo soli, ma siamo pure sempre in compagnia. Viviamo costanti eventi traumatici ed estranei che tuttavia non ci stimolano nessun tipo di risposta, perché siamo assuefatti a ciò che Byung-Chul Han, in La società della stanchezza, chiama eccesso di positività: «La violenza non nasce solo dalla negatività, ma anche dalla positività, non solo dall’Altro o dall’Estraneo, ma anche dell’Eguale. A questa violenza della positività allude evidentemente Baudrillard, quando scrive Chi vive dell’eguale muore dell’eguale». L’eccesso di positività ha avuto un effetto che ha demolito la collettività: l’immobilismo. Tutti gli stimoli a cui siamo ormai soggetti ha creato nella società una sorta di cortocircuito a causa del quale diventa difficile, se non impossibile, riunirsi, aggregarsi e costruire nuove realtà basate sul Noi.
Dovremmo adesso trovare una chiave, un modo per liberarci dal senso di saturazione, dal troppo, e ritrovare una strada comune, sulla quale costruire nuovi modi di incontro e confronto e nuovi luoghi da abitare insieme.
A mio avviso la lettura di “Compagni” oggi ci può essere utile più che mai. È vero, come le due autrici ci fanno intuire nel libro, l’esperienza nel Noi sembra essere stata fine a se stessa, sembra inconclusa, incompiuta, svanita: «Anni svaniti come un treno di vissuti che sventola fazzolettini dai finestrini sporchi. Le cose belle se le porta via il vento.», tuttavia è un’esperienza che in realtà è andata avanti con le gambe dei personaggi, che si sono via via evoluti nel testo e, chi sa, forse hanno trovato il possibile e l’esperienza comune in altre realtà, arricchendole con l’esperienza di ciò che è stato e che mai verrà dimenticato. Quel Noi raccontato in “Compagni”, frutto di un misto di sentimenti, paure, voglia di cambiare il mondo, rabbia e profonde riflessioni ideologiche e politiche, forse andrà avanti anche attraverso il lettore, diventandone un piccolo pezzo del suo bagaglio personale.
Annalisa Pagano
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Eleonora Corace (Messina, 1986) e Matilde Orlando (Messina, 1988) sono colleghe fin dai tempi dell’Università: hanno condiviso studio e ricerche filosofiche, sperimentando la scrittura collettiva in articoli e saggi filosofici. Tra le loro pubblicazioni: L’immagine carnefice (Cronopio, 2017); Le immagini di Marilyn tra svelatezza e denudamento (K. Revue, 2019); La biopolítica entre la practica biomédica nazi y la eugenesia contemporánea (Acta del VII Coloquio Latinoamericano de Biopolítica: Ontologías del Presente, 2020); Cuerpos beatos en cuarentena (Dissenso, 2020).
Eleonora Corace svolge attualmente il dottorato in filosofia all’Università di Würzburg (Germania),
ha lavorato come giornalista, occupandosi di temi sociali e migrazione. Tra le sue pubblicazioni il
saggio La sfera dell’intercultura. L’intreccio dei confini nella filosofia dell’estraneo di Bernhard
Waldenfels (Mimesis, 2018). Ha pubblicato articoli accademici sulla rivista Endoxa e K. Revue.
Matilde Orlando ha conseguito il dottorato in Filosofia all’Università degli studi di Messina nel 2017. Attualmente vive e insegna a Bogotà (Colombia). Tra le sue pubblicazioni: El malestar del ser. Levinas, el hitlerismo y la evasión como revuelta (Mutatis mutandis, (2019); Socrate in azienda. La filosofia tra formazione e consulenza (Rassegna di pedagogia, (2018). Ha pubblicato articoli accademici sulla rivista FataMorganaweb, OperaViva
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