Soldi ai giornalisti da Google e Facebook: urge gemellaggio con i reporter francesi

Speciale per Senza Bavaglio
Eugenio Gallavotti
Milano, 21 gennaio 2021

Ora è il momento di suonare la sveglia. È tempo che la Fnsi crei un gruppo di lavoro, di cooperazione, un gemellaggio mirato con il Snj, il sindacato dei giornalisti francesi che da un anno e mezzo sta conducendo un’aspra battaglia per i compensi degli articoli ripubblicati su Google, Facebook e le altre piattaforme, in base alla direttiva Ue sul copyright, già legge nazionale in Francia dal 2019 e in via di applicazione in Italia. Per il futuro della professione. I francesi hanno molto da insegnarci: hanno due anni di vantaggio. È bene avviare iniziative comuni già adesso, in continuo contatto con i colleghi d’Oltralpe.

“Ci siamo battuti e concentrati sul recepimento dell’articolo 15, quello sui compensi ai giornalisti”, dice a Senza Bavaglio Olivier Da Lage, membro del Snj e dell’Areg, un gruppo di esperti internazionali di diritto d’autore. “Siamo intervenuti con i nostri rappresentanti sindacali e ministeriali sia al Senato sia all’Assemblea nazionale affinché aggiungessero un emendamento per garantire che una parte dei diritti di pubblicazione fosse destinata ai giornalisti, cosa che hanno fatto. Ora, i nostri negoziati devono ancora partire perché gli editori – con il sostegno del governo – al momento stanno trattando con le varie piattaforme”.

E le trattative stanno dando i primi frutti. In Francia, Google ha appena annunciato di aver firmato un accordo con 300 giornali e riviste e che pagherà per utilizzare le loro pubblicazioni online. Quanto? Non sono ancora noti i termini dell’accordo, che si basano sull’audience online mensile delle testate, il loro contributo all’informazione generalista e la quantità di contenuti pubblicati. A novembre, Google aveva già siglato un accordo simile con i più importanti quotidiani (come Le Monde, Le Figaro, Libération), dopo che nell’aprile 2020 era intervenuto anche l’Antitrust francese.

“Che l’Italia non sia da meno”. “Poche idee e ancora meno azioni: cosa stanno facendo Fnsi e Fieg?”. “Non dobbiamo perdere questo treno”. Questi i primi commenti, al di qua delle Alpi, alle notizie che arrivano da Parigi. Il confronto con i giganti della Rete si annuncia impegnativo assai. Perché loro sono potenti e ricchi, ricchissimi.

Un’immagine efficace è quella del presidente della Siae, Giulio Rapetti in arte Mogol, uno dei sostenitori più convinti della direttiva Ue sul copyright: “Come Siae, incassiamo contributi anche dalle parrocchie. E non vogliamo riscuotere la giusta parcella da chi fa profitti per decine di miliardi?”. Naturalmente, Mogol si riferisce alla musica, ma il principio vale per l’intero universo del diritto d’autore, giornalisti compresi.

Già entro l’estate, tutti i Paesi europei dovranno applicare le nuove regole votate a Strasburgo. Che impongono a Google & Co. di pagare per il riutilizzo degli articoli pubblicati sulle loro piattaforme online. Meglio tardi che mai ci si è accorti che – fin qui – l’Unione europea ha regolato in modo insufficiente il potere di motori di ricerca e social network; che c’era bisogno di una normativa ad hoc per garantire un compenso ai giornalisti spolpati a costo zero su Internet.

L’influenza dei giganti tecnologici compromette la circolazione di informazioni accurate. Ne ha parlato anche il recente documentario “The Social Dilemma”, dove numerosi ex dirigenti di Silicon Valley hanno testimoniato sulla premeditazione di social network e motori di ricerca nel privilegiare, attraverso gli algoritmi, la diffusione delle fake news. E magari sarebbe anche ora di istituire un antitrust mirato, di introdurre un’equa tassazione sui ricavi da record di Zuckerberg e compagni. E, cosa aspettiamo, di istituire un G7 dedicato a questi temi. Tutti ricordiamo come Facebook abbia influito, per esempio, sulle elezioni per la Brexit…

Certo, non mancano gli (euro)scettici convinti che nulla cambierà. Non mancano i “benaltristi”: “Invece di pagare i giornalisti, era meglio farsi consegnare le banche dati”; o i decisamente contrari: “Così muore la democrazia digitale”. La stessa, per intenderci, che ha depredato una professione, prosciugato le redazioni, ridotto al lumicino le concessionarie di pubblicità, riempito con troppa facilità i nostri smartphone, e quelli dei nostri figli, di bufale, truffatori e pornovendette.

È un fatto che l’Ue ha saputo riaccendere una luce su un comparto industriale senza orizzonti, fiaccato, anzi vampirizzato dalla Rete. E un curioso contrappasso colpisce gli editori. Sono stati loro, negli ultimi quindici anni, a favorire la crescita dei cosiddetti “over the top” tollerando/incoraggiando la pubblicazione gratuita degli articoli giornalistici sui vari siti. Non comprendendo che Larry Page o Steve Chen, venditori di profili personali e di spazi adv, alla fine sarebbero diventati i loro concorrenti più irriducibili. Anzi, i nuovi veri editori del pianeta – senza avere alcuna responsabilità e con piena libertà di censura – una volta sostituite le edicole con lo scroll dei telefonini. Oggi che la stalla è chiusa, dopo che i buoi sono scappati, ecco per esempio la Fieg schierata con la Ue…

Adesso è il momento di agire. Soprattutto dentro la Fnsi. A meno di non rassegnarsi allo humor amaro di un famoso avvocato americano, Lawrence Lessig, fondatore di Creative Commons, l’organizzazione senza fini di lucro di Mountain View dedicata ad ampliare la gamma di opere disponibili online in maniera legale: “La guerra contro la condivisione illegale di file è come la vecchia guerra della chiesa contro la masturbazione. È una guerra che semplicemente non puoi vincere”.

Eugenio Gallavotti
gallavottieugenio@gmail.com

 

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