Caso Assange, negato ad Amnesty il diritto di assistere al processo

Speciale per Senza Bavaglio
Elisabetta Crisponi
26 settembre 2020

Il 7 settembre è iniziato il processo sull’estradizione di Julian Assange, chiesta dagli Stati Uniti alla Gran Bretagna dove Assange è detenuto. Se la corte inglese accoglierà le accuse dei procuratori americani, il giornalista di WikiLeaks rischia fino a 175 anni di carcere negli USA. Le novità emerse nelle prime due udienze sono molteplici. Innanzitutto, le autorità giudiziarie britanniche hanno negato ad Amnesty International di seguire il processo, sia in presenza che da remoto.

L’Organizzazione per i diritti umani aveva chiesto, in data 17 agosto, l’accreditamento ufficiale e l’assegnazione di un posto numerato all’interno del tribunale, come consentito nella prima fase dell’udienza, il 20 febbraio. Il 1° settembre viene comunicato che sarebbe stato consentito di seguire il processo solo in collegamento da remoto. Ma il 7 settembre l’osservatore di Amnesty International non ha trovato il link. Il giudice capo Emma Arbuthnot ha revocato il permesso: la motivazione ufficiale è che, nell’udienza di febbraio, qualcuno aveva diffuso online una foto di Assange seduto in aula, violando le regole.

Alla ripresa dell’udienza, il 14 settembre, Amnesty International ha inoltrato nuovamente una richiesta, questa volta per avere un posto nella galleria aperta al pubblico. Niente da fare: il 16 settembre è arrivata un’altra replica negativa. Intanto, a difesa di Assange, ha testimoniato Daniel Ellsberg, 89 anni, noto per aver pubblicato i cosiddetti “Pentagon Papers”, che nel 1971 denunciarono i soprusi americani in Vietnam.

Julian Assange

L’ex analista militare ha partecipato all’udienza giudiziaria in videoconferenza, e ha sostenuto che Assange, come lui in passato, ha semplicemente cercato di far luce sulla grande mancanza di trasparenza da parte degli Stati Uniti. “Vedo la più stretta delle somiglianze con l’accusa che ho dovuto affrontare, in cui l’esposizione dell’illegalità e degli atti criminali commessi istituzionalmente e individualmente era destinata ad essere schiacciata dall’Amministrazione che ha effettuato quelle illegalità – ha affermato Ellsberg -. Il pubblico americano aveva urgentemente bisogno di sapere cosa veniva fatto di routine per loro conto, e non c’era altro modo per scoprirlo se non attraverso la divulgazione non autorizzata”.

Durante l’udienza, ci sono state molteplici difficoltà tecniche, un allarme COVID-19 che ha temporaneamente interrotto il procedimento, e numerose irregolarità procedurali, compresa l’impossibilità di alcuni testimoni di riuscire a collegarsi. Durante la prima udienza, oltre duecento persone si sono radunate davanti al tribunale di Londra, esponendo striscioni e intonando cori. Dentro l’aula, gli avvocati dell’accusato hanno chiesto un rinvio al prossimo anno, in modo da avere il tempo di lavorare sulla nuova accusa del PM statunitense.

In effetti, era da più di sei mesi che Julian Assange non incontrava i suoi legali. Ma il giudice ha respinto questa richiesta. E a proposito di chi presiede la Corte, ci sono state delle contestazioni sulla scelta del giudice: Emma Arbuthnot, consorte di Lord James Arbuthnot, noto “falco” Tory, già ministro degli appalti della Difesa, legato al complesso militare-industriale e ai servizi segreti.

Lord Arbuthnot è anche presidente del comitato consultivo britannico della Thales, multinazionale francese specializzata in sistemi militari aerospaziali, e membro di quello della Montrose Associates, specializzata in intelligence strategica. Arbuthnot fa parte della Henry Jackson Society (HJS), legata al governo e all’intelligence statunitense, che conduce una campagna accusatoria contro Assange, che secondo loro “semina dubbi sulla posizione morale dei governi democratici occidentali, con l’appoggio di regimi autocratici”. Lady Arbuthnot ha respinto anche l’appello del responsabile Onu contro la tortura: “Assange, detenuto in condizioni estreme di isolamento non giustificate, mostra i sintomi tipici di un’esposizione prolungata alla tortura psicologica”.

A tal proposito, Senza Bavaglio si unisce all’appello di Reporter Sans frontières, l’unica ONG che ha potuto seguire le udienze del fondatore di Wikileaks,  esprimendo serie preoccupazioni per la vita di Assange e ne richiesendone la liberazione. Infatti RSF ha assistito alla testimonianza del professor Michael Kopelman, neuropsichiatra e primo perito medico ad essere ascoltato dalla Corte.

Kopelman ha parlato di grave depressione, ansia, pensieri suicidi frequenti, allucinazioni uditive, stress post-traumatico e disturbi del sonno che affliggono Julian Assange. Questa testimonianza conferma l’urgente necessità di liberare l’imputato. Inoltre, RSF ha recentemente subito un attacco informatico mirato al modulo di petizione #FreeAssange. Decine di migliaia di firme false hanno inondato la petizione e altre aree del sito nel tentativo di screditare la campagna in sostegno ad Assange.

Fortunatamente, nessun dato dei firmatari è stato recuperato o compromesso durante questo attacco dannoso. Ripulita, la petizione #FreeAssange raccoglie fino ad oggi 82.000 firme, e continua ad appellarsi ai sostenitori della libertà di stampa.

Ricordiamo che nel 2020, mentre migliaia di detenuti sono stati trasferiti agli arresti domiciliari quale misura anti-Coronavirus, Assange è stato lasciato in carcere ed esposto al contagio. In aula Assange non può consultarsi con gli avvocati, ma viene tenuto isolato in una gabbia di vetro blindato. La tesi portata avanti dalla difesa è che la pubblicazione di documenti riservati sia attività giornalistica, e non di spionaggio.

Il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti vuole affermare in un tribunale che un editore, per giunta non cittadino americano e non in America, deve avere l’obbligo di non divulgare  certi temi. È paradossale che nessun responsabile di potenziali crimini di guerra in Iraq e Afghanistan sia stato punito, ma sia proprio il giornalista che li ha denunciati ad essere sul banco degli imputati.

Elisabetta Crisponi

 

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