Speciale per Senza Bavaglio
Valerio Boni
Bergamo, 23 aprile 2020
Non capita tutti i giorni di avere in mano un poker d’assi e di fronte un avversario che sta vistosamente bluffando. Che sul piatto ha messo 200 milioni di euro, mentre chi si trova servito con cinque carte vincenti si gioca tutto ciò che gli è rimasto: credibilità, futuro e quel poco di dignità rimasta, dopo avere perso molte mani pur potendo contare su ottimi full e poker.
Questa è, in sintesi, la cronaca della partita che si narra sia stata giocata per due lunghi giorni da CdR Mondadori, vertici FNSI e Lombarda contro l’azienda di Segrate. Ma pare piuttosto improbabile che si sia trattato di un’estenuante trattativa di 48 ore, visto che si è conclusa con la pressoché totale accettazione di quanto proposto dalla proprietà. Il confronto si è chiuso con una “democratica” cassa integrazione ufficialmente al 30 per cento – ma a conti fatti di tratta di un bel 40 per cento – per tutti (figure apicali escluse, è ovvio) che porterà a tagliare 26 giorni lavorativi in 13 settimane.
La democrazia sta nel fatto che potranno beneficiare di questo trattamento anche i cinque giornalisti delle redazioni di Spy e Il mio Papa che ufficialmente hanno sospeso le pubblicazioni fino a data da destinarsi, ma di fatto hanno abbassato la saracinesca dopo una breve vita. A loro avrebbe dovuto spettare una cassa integrazione a zero ore, in attesa di poter successivamente procedere a interventi più drastici quando terminerà la tregua imposta dal Covid-19.
Un risultato che, una volta di più, è presentato come il migliore possibile per i tre importantissimi risultati portati a casa. Solo che si dimentica di specificare per chi sia il migliore. Di sicuro per chi è abituato ad agire in malafede, sapendo di avere di fronte una controparte debole e impreparata, al punto da sembrare sempre più un’organizzazione aziendale.
Come è possibile che si possa firmare un accordo che preveda tagli di un terzo per garantire la sopravvivenza di cinque persone, sapendo che l’azienda ha bisogno di quei 200 milioni per riuscire a garantire tra 12 mesi quel dividendo agli azionisti sfuggito per un soffio quest’anno? Il 30 per cento è una misura astratta, esattamente come lo sono state le percentuali dei contratti di solidarietà concessi con troppa leggerezza a una società che ha puntualmente portato a casa utili nonostante le scelte scellerate dei suoi manager.
Nel comunicato ufficiale, il Cdr precisa che “il concetto espresso al tavolo è stato di enorme preoccupazione, non solo per il presente, ma soprattutto per il futuro, nel timore (comune peraltro a tutta l’Italia produttiva) che alla fine dell’emergenza Covid non si riesca a tornare ai livelli pre-crisi”. E accetta passivamente i numeri confezionati per l’occasione dalla controparte “Previsioni sul fatturato pubblicitario 2020 rispetto a quello dell’anno scorso: – 30 milioni, con un calo del 50 per cento. Consuntivo di marzo 2020 per le testate Mondadori media nel loro complesso: – 40 per cento di diffusione, – 50 per cento pubblicità. Stima di aprile: – 50 per cento diffusione, – 60 per cento pubblicità. Stima di maggio: -50 per cento diffusione, – 70 per cento pubblicità”.
Questo era il momento di recitare la parte dell’indigente, quella riservata ai creduloni e alle aule di tribunale, che l’esecutivo ha assimilato come sempre sfidando apertamente chi giustamente dubita della lealtà della controparte . “Sappiamo che qualcuno è scettico rispetto alla credibilità dei dati presentati dall’azienda, anche se francamente ignoriamo su quali fonti alternative si basino queste valutazioni” è la nota che conclude la trionfale cronaca della trattativa.
Eppure buona parte di quei numeri è smentita dalle parole dell’amministratore delegato Ernesto Mauri, che nelle assemblee di approvazione del bilancio 2019 è apparso molto più che ottimista, grazie al riposizionamento dei business periodici e libri, che contribuiscono per il 72% ai ricavi e per l’89% all’ebitda. Non può valutare quale possa essere l’impatto dell’emergenza sul bilancio 2020, ma si è sbilanciato dicendo che “non sarà devastante. Se un’azienda era sana prima del Coronavirus lo sarà anche dopo. Faremo delle valutazioni dopo il primo trimestre, certamente un effetto si avrà sulla raccolta pubblicitaria, che però ora per noi rappresenta solo 70 milioni di euro netti su 885 di ricavi”.
Ma non basta, ha aggiunto che il settore più critico, quello dei periodici, la strategia prevede il mantenimento di una redditività nella media degli ultimi tre anni, tra gli 11 e i 13 milioni, con tutti gli strumenti possibili, comprese ulteriori razionalizzazioni dei costi che prevedono l’ulteriore esternalizzazione di alcune attività.
Da una parte, quindi, si piange la perdita di milioni e milioni di pubblicità, dall’altra si sottolinea che si tratta solo di una minima parte del business, che pesa per meno del 10 per cento. Senza dimenticare qualche aspetto importante, e il primo è questo: che se si regalano delle testate per liberarsene vengono a mancare i contenitori nei quali inserire la pubblicità. Poi bisogna valutare se la forza vendita sia all’altezza della situazione. Il video diventato virale di Urbano Cairo testimonia che il momento è molto prolifico, una sola persona può chiudere contratti per 1,6 milioni di euro in un solo giorno. Quindi è forse il caso di farsi delle domande.
L’accordo è firmato dal CdR, ma per veder confluire il fiume di milioni nelle casse della povera Mondadori, manca ancora l’approvazione dei 110 giornalisti, virtualmente riuniti venerdì 24 alle 10,30. I fiduciari stanno lavorando per l’azienda, come di consueto, cercando di convincere la maggioranza che si tratti del male minore. In realtà si tratta solo di rimandare di qualche settimana un male che sarà ben peggiore, perché il piano per alzare i margini riducendo i costi non si può arrestare e riserverà nel prossimo futuro sorprese molto prevedibili.
Ai giornalisti di Segrate resta quindi l’ultima possibilità per dimostrare quel temperamento che è sempre mancato. Fino a oggi hanno vinto la codardia, l’egoismo di pensare che il peggio potesse capitare solo agli organici delle redazioni più deboli. Ora c’è l’opportunità di provocare quel terremoto che nessuno sciopero ha mai minimamente avvicinato. Rispedire al mittente un piano che piano non è creerebbe lo scompiglio tra tante certezze.
Le reazioni potrebbero essere due. L’applicazione di una linea dura e vendicativa, con l’applicazione della cassa a zero ore per i redattori delle testate chiuse. Un danno economico che potrebbe essere mitigato applicando un solidarietà interna, con un’autotassazione degli altri 105 giornalisti, come facevano in passato i dipendenti dei mensili nei confronti di quelli dei settimanali che facevano saltare un numero in caso di sciopero. Più verosimilmente, però, l’azienda cercherebbe un nuovo accordo, visto che la matematica non è dalla loro parte. In ogni caso sarebbe una dimostrazione di forza e unità non indifferente, la più potente degli ultimi 20 anni.
Valerio Boni
valeboni2302@gmail.com
Leave a Comment