Fuori gli ammortizzatori sociali dall’INPGI: Vito Crimi dà ragione a Senza Bavaglio

Speciale per Senza Bavaglio
Pino Nicotri
Milano, 8 luglio 2019

“Dobbiamo pensare ai giovani, dobbiamo pensare ai giovani!”. Quando ero consigliere generale dell’Inpgi, vari anni fa, questo era il grido di battaglia preferito di Guido Besana, membro di lungo corso della maggioranza che ha governato e governa l’Istituto. Ogni volta che sentivo questo slogan alzavo la manina per intervenire e, atteso il mio turno, ribattevo: “Besana, guarda che l’Inpgi in prima battuta deve pensare alle pensioni in essere, quelle già maturate e pagate ogni mese,  e poi, certo, occuparsi anche di quelle in via di maturazione e di quelle dei giornalisti futuri, i famosi giovani che citi come fossi il loro lord protettore. Tu parli come una banca che anziché occuparsi dei conti correnti già esistenti si occupa di quelli futuri, sperando che ci siano”.

E poiché, certo, l’afflusso di giovani è la base per poter continuare ad assistere “i vecchi”, insistevo spesso e volentieri a far notare che il bilancio attuariale, fatto fare dall’Inpgi ogni anno per capire quale sarebbe stato il suo futuro a scadenza medio lunga, non era prudente farlo fare a un solo professionista. Meglio sarebbe stato farne fare due da due tecnici diversi e confrontarli tra loro onde evitare eventuali errori di previsione senza la possibilità di vederli e quindi di poterli prevenire. Meglio ancora se uno dei due tecnici fosse stato scelto dall’opposizione anziché dalla maggioranza di governo, in modo da avere più garanzie di possibilità di confronto.

Purtroppo, a quanto pare avevo ragione: le previsioni rosee del bilancio attuariale NON indicavano né scogli né tempeste lungo la navigazione futura dell’Inpgi, che quindi vi è incappata in pieno. I bilanci attuariali hanno permesso più di una volta che il presidente dichiarasse con soddisfazione: “Abbiamo messo in sicurezza i conti dell’Istituto”. Invece…

Avevo visto giusto anche quando facevo notare che troppe volte l’Inpgi, facendosi mungere dagli editori come una mucca sempre ricca di latte, si accollava la cassa integrazione di troppe “ristrutturazioni” di giornali.  Giornali per giunta il più delle volte con i bilanci positivi. Soldi che in realtà avrebbe dovuto mettere lo Stato, ripianandoli all’Istituto, visto che la cassa integrazione è un ammortizzatore sociale. Sociale, non privato. E se è sociale deve essere pagato dalla società, cioè dallo Stato, e non dai privati.

Alla fine l’Inpgi ha seguito il mio consiglio e si è fatta dare il dovuto dallo Stato in almeno un paio di occasioni. Lasciando però passare in cavalleria i molti soldi spesi come ammortizzatori sociali in passato.

Vito Crimi

Avrei preferito avere torto. Vedo invece che il sottosegretario all’Editoria, Vito Crimi, parlando a Ischia a “I convegni della Penna d’Oro”, mi ha dato indirettamente ragione dicendo cose simili a quelle detta da me una dozzina di anni fa: “In molti casi gli editori hanno sfruttato l’Inpgi come una cassa per ridurre il proprio costo del lavoro, e affrontando delle crisi industriali che non sempre erano corrispondenti alla mancanza di utili”. E ancora: “La crisi significa cassa integrazione, che è stata a carico dell’Inpgi”.

Visto che per avviarsi verso la salvezza l’Inpgi dovrà probabilmente inglobare anche i “comunicatori”, invito per l’ennesima volta la FNSI, Federazione Nazionale della Stampa Italiana, a cambiare intanto il nome visto che la stampa è stata – e man mano lo è sempre più – ridotta dal WEB, le pagine su carta sostituite dalle pagine online. Altrimenti è come insistere a parlare di linotipisti e dimafoni. Il che NON è affatto il modo giusto per “pensare ai giovani”. Anzi è il modo migliore per non pensarci.

Pino Nicotri
pinonicotri@gmail.com
Senza Bavaglio

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