Il caso Hearst e le responsabilità dei manager delle aziende editoriali

Speciale per Senza  Bavaglio
Eugenio Gallavotti
Milano, 23 maggio 2019

Dopo la vertenza Mondadori (riduzioni del 13 per cento degli stipendi dei giornalisti), ecco lo stato di crisi Hearst con tagli minacciati del 30 per cento, almeno inizialmente, segno che la sorprendente fusione Elle-Gioia fino a questo momento non ha portato i benefici previsti.

Sappiamo quanto frusto sia l’alibi di un management quando dichiara: “Non è colpa nostra, ma del mercato”; un management ha compiti di visione, progettazione, gestione e dovrebbe essere in grado di definire il modello di business di un giornale.

D’accordo il crollo Lehman Brothers, d’accordo Google & Facebook che hanno vampirizzato l’intero comparto industriale – abituando la gente all’idea che le notizie siano a costo zero come l’aria – ma a questo punto è evidente che l’ex quarto potere ha anche un problema di amministratori, negli ultimi anni certamente più attratti da altri settori produttivi.

Crisi Hearst: la fusione Elle-Gioia non ha portato fino a questo momento i benefici previsti
Crisi Hearst: la fusione Elle-Gioia non ha portato fino a questo momento i benefici previsti

Già perché l’editoria, un tempo la Premier League nella classifica delle imprese, adesso è una specie di Empoli in lotta per la salvezza. Perciò non stupisce che tanti Ceo e dintorni sognino di essere cooptati dalla Tim o da Amazon, più che affannarsi dietro a quotidiani e periodici.

Ma come mai, dalla Premier League, si è arrivati all’Empoli? E qui torniamo ai giganti dell’online, anno 2004: “Lasciate pure che riutilizzino gli articoli dei nostri giornalisti. Anzi, glieli passiamo noi. Ci fanno solo pubblicità”, fu il coro incauto e un po’ snob dei publisher di mezzo pianeta, alla faccia del diritto d’autore.

Giacomo Moletto, CEO di Hearst Italia

Con il risultato che i grandi motori di ricerca e social network, “gonfiati” dal lavoro gratuito dei giornalisti, oggi rastrellano i tre quarti del fatturato pubblicitario mondiale. Soluzioni possibili? Una soltanto e va presa al volo: l’applicazione della recente direttiva UE sul copyright.

E, scrutando ancora l’alba, come si può favorire l’accesso al mondo dell’informazione di manager accorti, motivati, realmente interessati e disposti a investire la loro carriera nei giornali? I Paesi nordeuropei, oltre a Stati Uniti, Canada e Australia, hanno saputo sviluppare nel tempo la formazione di competenze specifiche, più evolute rispetto all’Italia dove ci si affida ancora al “fiuto” e dove esistono numerose scuole di giornalismo, ma nessun master (o quasi) dedicato agli alti funzionari editoriali.

Intanto, due misure porterebbero la questione in primo piano, rappresentando uno stimolo/contributo per una maggiore attenzione a progetti e iniziative: 
1) il parere – non vincolante – dei giornalisti sulle nomine dei dirigenti; 
2) la presenza – non maggioritaria – di giornalisti qualificati all’interno degli organismi apicali delle aziende.

Eugenio Gallavotti

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