Speciale Per Senza Bavaglio
Maria Tiziana Lemme
Roma, 15 giugno 2018
L’Ordine non lo sa, i giornali neppure, lo Stato sì, ma non lo dice. Esiste uno e un solo modo per evitare il sequestro, nel corso dell’operazione, di documenti e materiali di chi esercita la professione di giornalista.
Per non consegnare i documenti all’autorità che esegue l’ordine, si deve scrivere su un foglio: “Si dichiara di materiale segreto inerente al segreto professionale”. Questo foglio anzi, questi fogli scritti devono essere apposti sopra, chessò, la rubrica, il notes, il computer, il telefono, il faldone dei documenti, i fogli volanti con gli appunti, pennette usb etc. Si deve scrivere: non si deve dire. La voce non serve. Vale esclusivamente la forma scritta.
Questa tutela per la nostra professione rimanda agli artt. 200 e 256 del Codice di Procedura Penale che tutelano il primo il segreto professionale, ossia per noi le fonti, e il 256 il “Dovere di esibizione e segreti”. In questo articolo 256 cpp si parla espressamente di “dichiarazione”. Per ‘dichiarazione’ si intende la forma scritta.
Davanti al foglio scritto con quella formula, insomma, l’autorità giudiziaria non può procedere al sequestro. Segue una procedura di accertamento che dura sessanta giorni ma nel frattempo i materiali (cartacei e informatici) non dovranno essere consegnati. Questa regola vale per tutte le professioni ritenute “sensibili”: giornalistica, medica, legale, notarile, ostetricia e anche per i preti.
L’autorità giudiziaria non è tenuta a informare di questa possibilità di tutela il soggetto contro cui si effettua il sequestro dei materiali: non è previsto dalla legge.
Rimando a altro momento la riflessione sul potere della parola scritta a mano contro l’autorità; sul colpevole silenzio dell’autorità per la tutela dei nostri diritti, attuando di fatto disinformazione, un sopruso. La non previsione per legge dell’obbligo di avvertirci su quali azioni compiere per evitare la consegna di materiali (per esempio nel caso di arresto si avverte che si può chiamare un legale) è un chiaro segno per attuare controllo contando sulla ignoranza che noi abbiamo anzi, avevamo sulla prassi. Occorre sapere come agire, dunque: la legge scrive tra le righe, a buon intenditore. Bene, adesso lo sappiamo. Organizziamoci al meglio.
Maria Tiziana Lemme
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