Non è solo “roba da donne”. Sono in ballo dignità e professionalità di tutti i giornalisti

Speciale per Senza Bavaglio
Medea Garrone
Genova, 15 ottobre 2017

Questa non è solo “roba da donne”. È questione di tutti i giornalisti. E i lavoratori in genere, di ogni settore. Perché se una testata, anche registrata regolarmente, come “Roba da donne”, offre, dopo selezioni varie, un compenso che va dai 5 ai 7 euro lordi a pezzo, la roba in questione è seria. Certo, ognuno è libero di accettare o meno. Ma esistono una dignità, un valore professionale e un codice deontologico da rispettare. Così come un tariffario.

Si gioca sulla psicologia di chi cerca una collaborazione, si gioca sull’offrire una prospettiva di visibilità e di iscrizione all’Ordine dei Giornalisti per chi ancora non ne facesse parte, e di mantenimento per chi è già iscritto. Come se, oltre tutto, bastassero i loro compensi per poter diventare pubblicista.

Eppure la mail inviata alle 20 selezionate per la seconda fase recita con tono quasi di sfida e imperioso: “L’obiettivo di questa seconda fase della selezione è capire se sei la persona giusta per interpretare la nostra linea editoriale e creare un contenuto originale, con potenzialità virali.” E questa viralità, pagata una cifra tanto ridicola, che sarebbe più dignitoso chiedere di lavorare gratuitamente, a chi dovrebbe servire, se non alla testata stessa, che tra l’altro si vanta di essere seguita da quasi due milioni di lettrici? “Cerchiamo empatia, punti di vista nuovi, donne che non sappiamo solo scrivere una news in italiano corretto, ma sappiamo lasciare il segno e farsi notare e seguire dalla nostra community di oltre 1,7 mln di donne.”

Si cerca qualità nel lavoro sottopagando? Forse a “Roba da donne” è sfuggita la recente denuncia della Presidente della Camera Laura Boldrini: “Non può esserci qualità se un pezzo viene pagato 10 euro. Perché non si può pretendere la verifica scrupolosa delle fonti, né alcun approfondimento, da parte di chi dovrà mettere insieme quanti più articoli, il più velocemente possibile, per avvicinarsi a una paga mensile che consenta almeno la sopravvivenza”. E qui parliamo addirittura di 5 euro lordi. E di lavoro a cottimo: “con possibilità di realizzare anche più articoli al giorno”. Nessuno ci sopravvive né deve sopravviverci.

E come non pensare, quindi, anche al concetto di caporalato? Non esiste solo nella campagne e nell’ambito digitale, non sono sfruttati solo i raccoglitori di pomodori e chi fa le consegne per i grandi dell’e-commerce.

Per questo, in risposta alla direttrice di “Roba da donne”, penserei alle donne dignitose del film “7 minuti”, tratto da una storia vera, in cui le operaie di una fabbrica appena ceduta a un nuovo proprietario –donna anche lei- rifiutano di vedersi ridotta la pausa di “soli” 7 minuti. Perché poi, accettando, cos’altro verrà loro richiesto? E questo che ricadute negative avrebbe sulle altre lavoratrici e lavoratori delle altre fabbriche e sulle generazioni future?

 

E allora come si accettano 7 minuti in meno non si accettano 7 euro lordi. E nemmeno netti. È roba da dignità personale prima di tutto. E che poi, mentre si sta ancora lottando perché nei posti pubblici le donne ricevano un compenso pari a quello dei colleghi uomini, una donna voglia parlare di “roba da donne” sfruttando le collaboratrici, sembra proprio un paradosso che, se non fosse tragico, sembrerebbe perfino ridicolo.

Medea Garrone
mede.garrone77@gmail.com

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