L’arrampicata sugli specchi del governatore Visco

giovanni-la-torre-francobolloI gessetti di Sylos Labini
Giovanni La Torre
Roma, 17 novembre 2016

Su Repubblica del 16 novembre è comparso in prima pagina uno stralcio di un saggio del governatore Ignazio Visco, dove troviamo le solite acrobazie logiche e storiche, tipiche dei neoliberisti, compiute pur di non ammettere la realtà vera, e cioè che la crisi e la stagnazione sono frutto della sperequazione nella distribuzione dei redditi e del conseguente eccesso di profitti/risparmio.

Il saggio parte dalle riflessioni dell’economista americano Edmond Phelps, premio Nobel 2006, che dovrebbe essere keynesiano, ma che da un certo punto in poi è diventato produttore di aria fritta, il quale nel 2013, ci dice Visco, “affrontava un tema cruciale: da che dipende il rallentamento delle economie che si osserva ormai da più di un decennio e verso dove siamo indirizzati?”. Mi sembrano le domande di “Quelo”, il personaggio di Corrado Guzzanti, il quale denunciava che “c’è grossa crisi” e si chiedeva “quando stiamo andando, quando stiamo facendo su questa terra? Di come mai, di come dove nel mondo? Dove chi, perché quando?” per concludere “la risposta è dentro di te … però è sbagliata!”.

Ignazio Visco all'assemblea generale dell'ABI a Roma l'11 luglio 2012 (Ravaglinifoto)
Ignazio Visco all’assemblea generale dell’ABI a Roma l’11 luglio 2012 (Ravaglinifoto)

Il povero Visco si chiede (lo immaginiamo pensoso e preoccupato dei destini dell’umanità) come si possa evitare la “stagnazione secolare” (questo è un altro rifugio dialettico della destra per non assumersi la responsabilità dell’attuale crisi) che mette in evidenza le «crescenti difficoltà di trasformare in investimenti il risparmio che si genera nell’economia». Caro Visco, la risposta è molto semplice: vi è un eccesso di risparmio, perché vi è stato un eccesso di profitti nei ruggenti anni ’80, ’90 e primi duemila, e che non si è interrotto, realizzati a danno dei salari e stipendi, e questo ha comportato un deficit di domanda, prima di consumi e poi, di conseguenza, di investimenti, deficit fino al 2007 occultato in maniera fittizia dall’espansione della finanza e del credito. Tutto qui. E invece voi neoliberisti vi inventate le cose più improbabili per nascondere questa elementare verità.

Cosa si inventa il nostro bravo governatore, sulla scia di Phelps? Che la causa della stagnazione è il venir meno «di valori quali il bisogno di creare, la propensione a esplorare, la ricerca di valori più appaganti, il desiderio di affrontare nuove sfide e di avere successo» … aria fritta della migliore qualità, non c’è che dire. E via a spararci una tiritera sugli effetti che queste mancanze hanno sull’innovazione e sulla produttività in tutto il mondo (si astiene però dal dire che in Italia la variazione della produttività è addirittura negativa, ancora poi dovesse essere rimproverato da Renzi). E suggerisce, da buon padre di famiglia, «che sempre più importanti saranno l’esercizio del potere critico, l’attitudine a risolvere i problemi, la creatività, la disponibilità positiva nei confronti dell’innovazione, la capacità di comunicare in modo efficace, l’apertura alla collaborazione. Insomma i valori messi in luce da Phelps», e dice queste cose come se fossero delle grandi novità, quando io ricordo che le dicevano anche a me i professori all’università nei primi anni settanta del novecento, e anche allora la fonte era la letteratura economica americana: evidentemente ogni tanto gli economisti Usa devono riciclare le stesse cose per vendere e far fessi i lettori europei, i quali pensano sempre di essersi impossessati delle ultime novità.

Caro Governatore, il presupposto dell’innovazione, e in generale degli investimenti, oltre alla volontà degli imprenditori e dei pubblici poteri, sta nella salute delle imprese, e queste stanno bene se vendono, ma per vendere ci deve essere capacità di acquisto nel mercato, e per avere capacità di acquisto ci deve essere reddito disponibile sufficiente, il quale lo si realizza solo in presenza di un’equa distribuzione dei redditi.

Giovanni La Torre

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