Anche Banca d’Italia regge il bordone a Renzi

giovanni-la-torre-francobollo

I gessetti di Sylos Labini
Giovanni La Torre
Roma, 16 ottobre 2016

Dopo la Confindustria, che ha preannunciato la catastrofe in caso di vittoria del “No” al referendum, ecco che ora anche la Banca d’Italia lancia una ciambella di salvataggio a Renzi, e lo fa nel modo più istituzionale possibile, attraverso il suo bollettino economico, precisamente il n. 4 di ottobre, che riporta la situazione al 30 giugno.

Il documento afferma che l’occupazione nel comparto del lavoro dipendente “si è riportata sul livello massimo registrato nel periodo antecedente la crisi del 2008”. Eureka! Verrebbe da esclamare, è finita la crisi sul piano occupazionale. Ma poi si vanno a leggere i dati e si nota che quelli complessivi di partenza (comprendenti anche i lavoratori autonomi) sono diversi da quelli contenuti nei documenti Istat. Precisamente il numero complessivo della forza lavoro è pari a 24,8 milioni secondo Bankit, mentre è pari (alla stessa data del 30 giugno) a 22,8 milioni secondo l’Istat, cioè due milioni in meno. A cosa è dovuta quella differenza? Per evitare il rischio di essere accusato di partigianeria riporto la riflessione fatta da Dario di Vico su corriere.it di sabato 15:

«nelle riflessioni di tutti i giorni il dato che viene usato più frequentemente è quello dell’indagine sulle forze di lavoro, il cui responso porta a 22,7 milioni. Il 24,8 è ottenuto sulla base delle unità di lavoro che non corrispondono alle “teste occupate” perché comprendono lavoro irregolare soprattutto straniero. Nessun problema dal punto di vista scientifico ma sul versante della comunicazione qualche criticità emerge. E il motivo è semplice: già nei mesi scorsi abbiamo assistito a una doccia a getto continuo di dati sull’occupazione forniti da tre “agenzie” come l’Istat, l’Inps e il ministero del Welfare. Questa ricchezza di dati è servita per di più ad alimentare dichiarazioni di segno contrapposto, qualche scena madre ad uso dei talk show e un numero infinito di tweet. Fuori dalla ristretta cerchia degli addetti ai lavori però il risultato è stato di aumentare confusione e disorientamento».

Sottoscriviamo dalla prima all’ultima parola.

Ma gli assist di Bankit a Renzi non finiscono qui. Si può leggere anche che, dopo la pubblicazione della Nota di aggiornamento del governo, “la politica di bilancio rimarrebbe espansiva nel 2017”. Come possa essere espansivo un bilancio pubblico con un consistente avanzo primario, lo sanno solo gli economisti di Bankit. Ma c’è un’altra riflessione amara che suggerisce il Bollettino in questione.

Ignazio Visco
Ignazio Visco

Fin dalle prime pagine, pensando di ispirare ottimismo, viene scritto che “l’occupazione cresce più del prodotto”. In realtà, agli economisti seri quel dato desta preoccupazione, molta preoccupazione. Se l’occupazione cresce più del prodotto vuol dire che la produttività continua a diminuire, che l’occupazione cresce nei settori e nelle imprese meno efficienti. Si sta cioè verificando quanto avevamo paventato nel momento in cui veniva approvato il jobs act e gli incentivi a pioggia alle imprese, e cioè che non legare la flessibilità del fattore lavoro e la decontribuzione a nessun impegno in termini di investimenti e innovazione, avrebbe solo comportato un ulteriore calo della produttività, in quanto si rendeva comparativamente più conveniente il fattore lavoro rispetto alle macchine, con un ulteriore spinta verso il nostro declino, che trova nel calo ventennale della produttività uno dei suoi fattori causali più importanti. Strano che Bankit, altre volte così attenta, non abbia rilevato la cosa.

Nel 2001 l’allora governatore Fazio preannunciò un “nuovo miracolo italiano” grazie alla vittoria elettorale di Berlusconi, e sappiamo come è andata veramente. Oggi il governatore Ignazio Visco, regge il bordone a Renzi, e chissà come andrà a finire. Insomma è bastato che Renzi abolisse l’art. 18 e tutti ora sono dalla sua parte. Poveri noi, questi non hanno ancora capito (o fanno finta) le cause vere del declino italiano.

Giovanni La Torre

Condividi questo articolo