COLPO GROSSO Bande e solisti della rapina all’italiana

Colpo Grosso di Olga Piscitelli di Olga Piscitelli

Hanno tutti portato a casa il bottino. O almeno ci hanno provato. Da protagonisti o da gregari, i rapinatori di questo libro hanno espugnato banche, assaltato portavalori, uffici postali e negozi. Qualcuno ha bruciatola sua in quell’unica azione. Altri sono diventati professionisti del settore. C’è chi si è “sistemato” con il colpo del secolo e chi è rimasto con un pugno di mosche, dopo mesi di studi e sopralluoghi. Rapinatori improvvisati e impiegati del crimine. Le loro storie sono state  scelte, tra le molte, perché più di altre si prestavano al racconto. Nessun criterio criminologico ispira questa rassegna di malavita di settore. Ci sono soltanto, uno in fila all’altro, i protagonisti di una lunga stagione della cronaca nera italiana. Le loro vicende picaresche (molte) o nobili (poche), intrecciano tutte la storia del nostro Paese. A pennellate, qua e là è stato necessario ricordare quel che stava accadendo. Per non interrompere il filo del racconto, non ci si addentra mai nei grandi capitoli: mafia e  terrorismo restano sullo sfondo. Di base c’è la constatazione che anche la rapina ha cambiato volto. Che i grandi rapinatori del passato sono oramai solo icone fissate sulle copertine dei rotocalchi di un tempo. E’ semplicemente questo il basso continuo che fa da filo conduttore al racconto. Le domande restano tutte aperte: quelle che piacciono al sociologo e quelle che interessano lo storico. I Maigret d’Italia, a parte quando erano funzionali al ritratto del rapinatore, restano in seconda fila, quasi nell’ombra come le vittime, del resto. A qualcuno si dà voce, ma sono casi esemplari, pistoleri improvvisati o vittime al quadrato, colpiti prima dai malviventi, poi perseguitati alla
giustizia.

Apre le danze l’ultimo rapinatore vecchio stile, Domenico “Mimmo” Gargano.
Non ha mai detto: “Mani in alto, questa è una rapina”. Ad assaltare la banca milanese di via Cassinis c’è andato a piedi, convinto piuttosto di suicidarsi che di uscirne vivo. La sua storia è esemplare da molti punti di vista. Ha anche un risvolto passionale, sostiene che ha fatto tutto quel che ha fatto solo per amore. Eppure Gargano è l’ultimo rapinatore di una stagione di “romantici” spazzata via, con una certa Italia criminale, dal vento di “mala” venuto dall’Est. Ma anche dalla tecnologia che riprende chiunque si avvicini a una filiale anche solo per fare un bancomat.

Gli ultimi dati forniti dalla Squadra Mobile di Milano, certificano che il “mestiere” di rapinatore rende sempre meno: molti arresti e bottini scarsi. I casi risolti nel periodo tra gennaio e ottobre del 2004 sfiorano il settanta per cento, contro il sessanta di tutto il 2003.

Ma le rapine continuano ad essere numerose, anzi aumentano. I dati della Prefettura ne contano 1.469 a 1.595 nel confronto tra i primi sei mesi del 2003 e i primi sei del 2004. I colpi in banca sono, almeno in città, in drastica diminuzione. I casi sono scesi da novanta a cinquantasette, se si confrontano i primi semestri di 2003 e 2004 (centoquarantacinque in tutto il2003, secondo la Mobile). Strano invece che in provincia, nel medesimo periodo di riferimento, si registri un aumento: da ottantotto a novantadue.

E’ da quando hanno cominciato a contarle, che le rapine sono ai primi posti della classifica dei reati. Solo per il 1946 le statistiche del crimine elencano: 2.160 omicidi, 10.708 rapine, 330 sequestri di persona, 1.162 estorsioni, 155.019 furti aggravati, 123.878 furti. Agli storici, di sicuro, direbbe molto l’onda che porta su e giù l’allarme sulla criminalità. In cento giorni, a cavallo tra il 1978 e il ’79 si contano dodici morti per rapina a Milano. Nel 1999, i primi nove giorni dell’anno ne bruciano nove.

Nel libro, lo sguardo al passato si fissa su figure di rapinatori come quelle di Luciano Lutring, il solista del mitra finito in trappola per non
aver fatto il pieno di benzina, graziato due volte da un capo dello stato francese e da uno italiano, dell’anarchico Horst Fantazzini, forse il
personaggio più noir della raccolta, o del rapinatore in tuta blu Ugo Ciappina, amico di Feltrinelli e nemico dei giornalisti. Insieme hanno
scritto la grammatica nera dell’ultimo mezzo secolo.

I tuffi nel presente sono continui, le cifre, ancora una volta, scaraventano in faccia la realtà più cruda. Il 2003 rappresenta, quanto a rapine, il picco degli ultimi 40 anni; l’Istat conta 3.635 colpi in banca: una corsa pericolosa che alza la posta del 14,2 per cento nel 2002 e di un ulteriore 4,3 per cento nel corso del 2003. Ma che fine hanno fatto i rapinatori?

Nella Milano ricca, di prima e dopo il boom economico, le bande Cavallero e quella dei marsigliesi si spartivano il bottino. Gli eredi? Non esistono. Nonostante le bande dei Rolex e le baby-gang cerchino un loro spazio. Gioiellieri, tabaccai e benzinai sono finiti al centro del mirino, ma di un’altra generazione di rapinatori. Quelli dell’azione “mordi e fuggi”, la fast-rapina, per raggranellare soldi senza curarsi di chi rimane sull’asfalto. In questo libro non si parla di loro. I mille volti anonimi della rapina qualunque, quella con il taglierino che ha tenuto banco per tutti gli anni ’90 o quella delle gang di ragazzini a caccia del giubbotto firmato o della scarpa all’ultima griffe, non sono presi in considerazione.

Quasi cinquant’anni di rapine, sfilano raccontati attraverso le gesta o le parole dei protagonisti, tra improvvisatori del crimine e professionisti del settore, di qui e di là dalle barricate, per un grande affresco della società dei soldi e delle armi facili, della mafia che fa affari d’oro, dei gruppuscoli di terroristi che tentano il salto di qualità con azioni esemplari. Ma sono sempre rapine a volto scoperto, i cui autori cioè spiccano per doti organizzative, per ingenuità, per intraprendenza o semplicemente perché scelti dal destino.

L’ultimo rapinatore a finire nella rete della polizia è a suo modo un personaggio tipico, quasi un figlio d’arte. Rosario Di Giovine, 24 anni,
arrestato nel corso di una rapina in banca in via Paolo Sarpi, in piena Chinatown milanese, è infatti nipote di Emilio Di Giovine, narcotrafficante di origine calabrese, protagonista indiscusso della mala degli anni Ottanta, a Milano, capace di far arrivare in città dalla Spagna e dal Portogallo partite da mille chilogrammi di hashish ogni quindici giorni. E’ passato agli annali della cronaca nera anche per evasioni rocambolesche, alla Diabolik, con secondini narcotizzati a suon di storditori elettrici e bombolette di gas intossicante, proprio come nei fumetti.

Rosario, l’erede del clan che aveva il suo quartier generale in piazza Prealpi, periferia nord di Milano, si è fatto riprendere dalle telecamere a circuito chiuso che sorvegliano le banche. Lo hanno immortalato il 10 dicembre 2003, alla Bnl di piazza Firenze, il 9 gennaio 2004 al Credem di via McMahon, il 13 gennaio successivo al Banco di Brescia della stessa via; il 27 gennaio alla Bpm di via Bodoni. Un rosario di fotogrammi che, uno dietro all’altro, fanno quasi un film ripetitivo e noioso. La sceneggiatura si deve, secondo gli investigatori della sezione Antirapine della Questura, al vizio della cocaina.

 

Olga Piscitelli

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