Dal team di
Senza Bavaglio
Roma, 2 ottobre 2020
Futuro poco chiaro e nessuna strategia di medio–lungo termine. L’orizzonte era già agitato poi con l’arrivo della notizia bomba anticipata l’1 ottobre da Milano Finanza: quattro testate del gruppo GEDI GNN (13 giornali locali su carta e web) in vendita a brevissimo termine. Si tratta de La Nuova Ferrara, la Gazzetta di Modena, la Gazzetta di Reggio Emilia e l’ammiraglia del gruppo il Tirreno: in corso una trattativa per la cessione dei quotidiani da parte di Gedi a un pool di investitori toscani ed emiliani tra i quali il gruppo quotato Portobello, operazione avviata e a buon punto che potrebbe concludersi entro il mese.
Il coordinamento dei cdr del gruppo GEDI ha deciso: è sciopero fino alle 12 di domani. La preoccupazione è forte e lo era già prima: calo di vendite del cartaceo, l’online che non tira, si naviga a vista anche per quanto riguarda l’operato delle direzioni che fa piani e riorganizzazioni salvo poi smentirli dopo alcuni mesi con redazioni smagrite, segreterie (quelle che ancora esistono) ai minimi termini, giornalisti quasi in maggioranza fermi al desk mentre la cronaca è per lo più demandata a collaboratori precari. Non a caso per la prossima settimana era convocato un incontro tra il consigliere delegato Fabiano Begal e il cdr delle quattro testate Venete (Mattino di Padova, Nuova Venezia, Tribuna di Treviso e Corriere delle Alpi): le assemblee redazionali avevano affidato alla rappresentanza sindacale un pacchetto di alcuni giorni di sciopero. Tutto azzerato, forse. E giornate ancora più incerte all’insegna di relazioni sindacali tutt’altro che trasparenti e molto (troppo) opache.
La normativa antitrust impone un tetto non superiore al 20% dei quotidiani in mano a un singolo editore: il gruppo potrebbe essersi trovato di fronte alla scelta di un’ulteriore cura dimagrante rispetto a quella già fatta qualche anno fa (la cessione delle due testate del Trentino Alto Adige a un industriale austriaco e la tragica cessione della città di Salerno che ha messo sulla strada tutti i giornalisti professionisti) in vista dell’acquisto del Sole 24Ore mai confermata da alcuna parte in causa. Un’operazione forse solo di fantasia.
Un’altra fonte (Prima comunicazione) rivela che “l’epidemia Covid ha stravolto i conti di GEDI e ha fatto capire la fragilità in termini di business di alcune testate locali che si sono ritrovate con i fatturati della pubblicità anche di prossimità azzerati. Inoltre forse si è capito che attivare sinergie tra 13 quotidiani sparsi tra la Toscana e il Friuli Venezia Giulia è più difficile di quanto sembrava fino a un anno fa. E, non ultima e forse più importante la necessità, di finanziare i progetti digitali in corso che visto il costo degli investimenti tecnologici avranno sempre più bisogno di denari” .
L’unica certezza è che il management del gruppo GEDI sembra non avere un orizzonte chiaro. E –altra certezza – tratta il delicato settore dell’informazione come una fabbrica di scatolette di tonno o uno stabilimento di automobili, senza rendersi conto che l’informazione è altro. E merita un’imprenditoria all’altezza in termini di visione del futuro. Non basta agire per la sopravvivenza immediata e cambiare direttori come una partita a scacchi per ottenere risultati o svendere le testate crollate magari sotto il peso di una crisi che, spesso, dipendono da scelte assunte più in alto mentre le redazioni ne pagano solo le conseguenze e qualche ex amministratore delegato del gruppo viene liquidato con emolumenti milionari nonostante le perdite dei bilanci (per i 20 mesi alla guida di GEDI tra il 2018 e il 2019 l’ex ad Laura Cioli ha portato a casa una buonuscita di 1,85 milioni più 100 mila euro di premio, al contrario alcune testate hanno “vissuto” i prepensionamenti).
Peraltro servono direttori che abbiano idee, che puntino a investire sui redattori, che affrontino la realtà con il coraggio di raccontarla ai lettori non regalando l’ennesimo giornale fotocopia. E ancora servono redazioni di giornali attrezzate per il lavoro e non costrette ad arrangiarsi. La situazione è ancora più grave di fronte a relazioni sindacali buie che riportano indietro nel tempo la lancetta dell’orologio tanto più in un periodo in cui – causa pandemia – le redazioni sono mezze vuote con il ricorso allo smartworking.
Così scrive il coordinamento dei cdr del gruppo Gedi Gnn : “La volontà di dismettere alcune, o tutte le testate ex Finegil, era evidente da tempo, nonostante le rassicurazioni date nell’unico incontro avuto quest’anno con l’amministratore delegato e il direttore editoriale di Gnn.
L’operazione in corso è particolarmente grave, nelle dinamiche e negli effetti, perché porterà alla distruzione dell’esperienza che da più di 40 anni rappresenta Finegil: un’informazione locale libera e indipendente legata a un grande gruppo editoriale (Editoriale L’Espresso, poi Gedi). Questo ha garantito giornali di qualità in decine di province italiane.
E’ evidente che l’intenzione, se confermata, di vendita a editori che mai hanno fatto questo mestiere, distrugge questo modello e indebolisce l’intero sistema informativo italiano.
La politica, dal Parlamento ai singoli Consigli comunali interessati, dovrebbero interrogarsi su cosa sta creando la legge che impone un tetto del 20% dei quotidiani nelle mani di un singolo editore.
Se le notizie dovessero trovare conferma, avremo in pochi mesi un gruppo Gedi che svende quotidiani regionali (il Tirreno) e provinciali (Nuova Ferrara, Gazzetta di Reggio e Gazzetta di Modena) per poter comprare un altro quotidiano nazionale come il Sole 24 ore.
Chiediamo quindi a un gruppo imprenditoriale leader in Italia, con i piedi ben piantati da sempre nel mondo dell’informazione, se l’operazione ideata e avviata solo pochi mesi dopo avere assunto la guida del principale gruppo editoriale italiano rappresenta solo un’operazione contabile o se è stata valutata la sua sostenibilità futura, anche a breve termine, sia per le persone coinvolte dalla cessione che per le testate che svolgono un servizio importante nelle loro comunità. Aspetti che non dovrebbero essere indifferenti ad un imprenditore “responsabile”, con la sua lunga storia e il ruolo indiscusso che esercita nel mercato e che vuol continuare ad esercitare.
A questo punto la richiesta che facciamo all’editore, oltre a quella di convocare immediatamente i Cdr coinvolti nella trattativa di vendita rispondendo alla loro richiesta già avanzata martedì e finora disattesa, è quella di venderci tutti, ma venderci in blocco. In questo modo potremo salvaguardare conoscenze, esperienze e, più in generale, un modello di informazione glocal che ha avuto successo e che in quasi tutte le realtà rende ancora economicamente, a differenza della stampa nazionale che appare in una crisi disastrosa”.
Senza Bavaglio
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