La distruzione del giornalismo e la disperazione dei giovani giornalisti

Speciale per Senza Bavaglio
Elisabetta Crisponi
Nuoro, 28 gennaio 2020

Ho 26 anni ed è da quando ne avevo 14 che sogno di fare la giornalista. Ormai il mondo del giornalismo occupa gran parte del mio tempo, con letture di quotidiani, riviste, libri e reportage d’ogni genere. Amo leggere della vita e del lavoro delle personalità illustri nella storia di questo mestiere, cerco di prenderne sempre spunto per azioni e riflessioni. Mi piace ripercorrere la storia attraverso il giornalismo, mi restituisce pezzetti di Mondo e mi sazio di tanti racconti di umanità.

Ho intrapreso tutti i miei studi sulla scia di questa passione, ho la fortuna di formarmi, negli anni della mia giovinezza, in una città come Milano, regina dell’Editoria, che spalanca ogni porta a chi la sa vivere davvero e comprendere.

Ma lo scenario del giornalismo attuale provoca una certa desolazione nei giovani aspiranti d’oggi, e alla fine ti ritrovi a sognare di andare a far parte di un mondo che in realtà non esiste più.  Paradossalmente, confrontarsi con la realtà, arrivare a toccare con mano il sogno di questa professione, spaventa e spesso atrofizza.

Le ultime notizie sulla situazione dell’INPGI non aiutano di certo. Ciò che, col tempo, si è creato all’interno del sindacato, non è solo una crisi finanziaria, ma qualcosa che ha modificato culturalmente una professione. Si paralizzano i giovani che non solo hanno difficoltà, lavorando per qualche spicciolo, a seguire il proprio sogno e iniziare una carriera, ma sono spaventati anche dal modo in cui questa ipotetica carriera potrebbe andare avanti.

Decollerà? Resterà in volo? Ci sarà qualcuno (il sindacato) pronto ad aiutarmi, anziché farmi schiantare sulla pista, dopo aver preso quota? Non si vede all’orizzonte nessun progresso, nessuna tutela. In mezzo alla Babele del Web, alla Sodoma delle redazioni e alla Gomorra della realtà freelance, si prova molta nostalgia per epoche mai vissute, per il suono di tasti della macchina da scrivere mai battuti, e per l’odore d’inchiostro sostituito dagli schermi degli smartphone.

Momentaneamente collaboro, in vista dell’iscrizione all’albo come pubblicista, con una testata locale nel territorio del centro Sardegna, posto in cui sono nata. Un’esperienza veramente preziosa e in cui ho imparato la bellezza di questa professione. Ho riscoperto l’entusiasmo, e forse anche un po’ lo spirito sognante, che mi fa pensare davvero di poter fare qualcosa di utile.

Avere di nuovo la consapevolezza che, se fatto bene, questo può essere ancora un mestiere nobile, che aiuta la società a comprendersi, ad interrogarsi, a migliorarsi, con la sola etica della Verità. Vedo la conquista di quel tesserino come il rilascio della mia vera carta d’identità. Perché, come spesso mi ripeto nei momenti di sconforto, io non faccio il mio mestiere, io sono il mio mestiere. Ma una volta uscita dalla bolla di questa realtà-nido, cosa mi aspetta? A cosa serviranno tutti i sacrifici, la stanchezza, l’umiliazione di lavorare senza uno stipendio, a cosa tutta la passione?

Mentre si parla di prepensionamenti, pensate anche a noi giovani giornalisti, non portateci via l’amore per la professione, non annullateci i sogni, non strappateci a noi stessi.

Elisabetta Crisponi

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