Mondadori verso nuove vendite e il CdR è ancora una volta cattivo consigliere

Speciale per Senza Bavaglio
Valerio Boni
Roma, 1 dicembre 2019

Per i giornalisti Mondadori la situazione è grave, ma non seria. Nel senso che ancora una volta, come spesso è accaduto negli ultimi anni, chi dovrebbe vigilare sul rispetto dei loro diritti e della loro dignità non ha seguito con la necessaria serietà tutte le fasi. Lo conferma il modo con cui è stato gestito l’imminente trasferimento di 50 giornalisti da Segrate alla corte di Maurizio Belpietro. All’improvviso ci si è resi conto che i tempi sono maturi, ed è partita la corsa alla ricerca di un minimo di garanzie per i colleghi coinvolti nella cessione. Settimana scorsa l’assemblea ha votato all’unanimità contro la firma di un un accordo che non prevedesse almeno una garanzia occupazionale di due anni. Ma poco dopo il fronte compatto si è incrinato sotto la spinta di chi ha fatto notare che dal prossimo primo gennaio i periodici (tranne Focus che rimane Mondadori Scienza) confluiranno in una nuova società e di conseguenza verrebbero a mancare i presupposti per un eventuale reintegro da parte del Tribunale. Così di giornalisti di Confidenze hanno deciso di accettare senza riserve ogni accordo che preveda un paracadute dai sei mesi in su.

Il sindacato ha firmato con sospensiva un impegno con l’azienda, in attesa che nella mattinata di lunedì 2 dicembre l’assemblea dei 50 giornalisti interessati accetti o rifiuti la proposta, con voto segreto e non palese. La sensazione è che la maggioranza accetti ancora una volta un accordo capestro costruito su misura dalla proprietà, contando sull’avallo di un CdR che brancola nel buio. Come in passato l’esecutivo sta cercando di trovare quella che si reputa il male minore, senza tener conto di essere in balia di un branco di squali, per utilizzare un eufemismo.

In realtà, analizzando nel dettaglio la situazione, si scopre che è meno drammatica di quanto appaia, perché per una volta i giornalisti possono contare su un piccolo vantaggio rispetto a una società in difficoltà. Il timore è quello che il passaggio delle testate possa essere classificato come la classica operazione di pulizia etnica utilizzando un editore senza scrupoli per fare tutto il lavoro sporco. Ma non è questo il caso, perché non si tratta della classica cessione di ramo d’azienda, ma di un esperimento mai tentato prima, del quale nessuno può conoscere le conseguenze.

Belpietro in questa fase è seriamente intenzionato a fare l’editore, anche se con metodi che non sono quelli con alti costi di gestione tipici della Mondadori. Per questo motivo ha chiesto e ottenuto l’opzione put e call, che non è una semplice clausola tra le parti come i legali hanno semplicisticamente raccontato al CdR. Si tratta di un contratto i cui effetti inizieranno di fatto tra un anno e avrà totale efficacia tra 24 mesi, periodo alla fine del quale la nuova società potrà decidere se perfezionare l’acquisto, oppure restituire tutto al mittente, vale a dire a palazzo Niemeyer: teestate e dipendenti.

Ciò significa che Belpietro potrà contare sulla dote del pagamento degli stipendi, ma pare confermato che Mondadori garantisca anche un minimo garantito di pubblicità per ridurre al minimo le spese di gestione. A queste condizioni, perché dovrebbe rinunciare a della forza lavoro a costo zero, che può essere impegnata non solo sulle testate di riferimento, ma contribuire alla realizzazione di tutto il bouquet secondo quanto previsto dal contratto di lavoro?

Concentrare l’attenzione sulla garanzia di occupazione, sbandierando come vittoria la conquista di sei mesi rappresenta in questo caso un clamoroso autogol. Un nuovo favore a una società che negli ultimi 10 anni ha calpestato diritti e dignità di tutti i lavoratori, affidandosi a collaboratori senza scrupoli, che sicuramente staranno già brindando per avere guidato una volta di più il CdR nella direzione voluta. L’occasione dovrebbe essere invece sfruttata per avere chiarimenti su come l’azienda intenda gestire il rientro delle testate nel caso l’operazione si riveli un fallimento. Ma l’interesse di tutti è che il tutto funzioni, perché solo in questo modo Mondadori otterrebbe il pagamento di quanto pattuito. Quindi votare per un accordo che prevede una garanzia di soli sei mesi a fronte di altre rinunce sarebbe puro autolesionismo. Che per i colleghi di Confidenze e TuStyle si sommerebbe a quello subito con l’autoriduzione di stipendio “volontaria” accettata due anni fa per scongiurare il passaggio all’editore croato Andelko Aleksic.

Valerio Boni
Twitter @BoniValerio @senzabavaglio

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