da “Giornalismo e politica SpA”
Ugo Degl’Innocenti
Pubblichiamo alcuni stralci del saggio-dossier “Giornalismo e politica SpA Un sodalizio canaglia” di Ugo Degl’Innocenti, prefazione di Sergio Rizzo, Aracne Editrice, 2013. Il libro fotografa situazioni ricorrenti nel giornalismo italiano, spesso schierato a sostegno dei vari partiti e movimenti politici. Dopo “Libero ma non troppo”, qui di seguito pubblichiamo un altro stralcio del primo capitolo, “Giornalismo e politica oggi”. Qui l’autore ripercorre un’altra vicenda della storia recente del giornalismo nostrano che ha fatto molto discutere e ricorda la nascita del Giornale e il suo fondatore, Indro Montanelli.
L’estate del 2010 è stata attraversata dalle inchieste de “il Giornale”, di proprietà di Paolo Berlusconi, fratello di Silvio, all’epoca premier, volte a fare luce sulla vicenda di un appartamento a Monte Carlo, un tempo di proprietà di Alleanza nazionale, partito poi confluito nel Pdl.
Venduto a un prezzo considerato più basso di quello di mercato a una società offshore, l’appartamento è stato poi affittato al fratello della compagna di Gianfranco Fini, “traghettatore” della destra dal Movimento sociale italiano ad Alleanza nazionale e poi nel Pdl e all’epoca presidente della Camera e in aperto contrasto con Berlusconi Silvio. La vicenda si è trasformata presto in un tormentone che ha occupato le prime pagine dei giornali per settimane e settimane, finché tutti i mezzi d’informazione sono stati costretti a spostare l’attenzione sul cosiddetto giallo di Avetrana (…).
Ma oltre al giallo di Avetrana, che entrerà nella storia delle news come uno dei casi mediatici più seguiti dall’opinione pubblica italiana, a fare passare in secondo piano Fini e l’appartamento di Monte Carlo è anche la perquisizione, su mandato del pm di Potenza Henry John Woodcock, degli uffici e delle abitazioni del direttore del “Giornale”, Alessandro Sallusti, e di uno dei suoi vice, Nicola Porro. La presidente della Confindustria, Emma Marcegaglia, sarebbe stata oggetto di pressioni volte a farle attenuare nelle sue dichiarazioni i toni considerati antigovernativi. Il tentativo di intimidazione sarebbe stato posto in essere da Porro, il quale, secondo il pm di Potenza John Woodcock, avrebbe minacciato la pubblicazione di un dossier sulla Marcegaglia, nel corso di una conversazione telefonica (intercettata) con Rinaldo Arpisella, portavoce della presidente di Confindustria.
Naturalmente, ci troviamo di fronte a un’altra apoteosi del metagiornalismo: la prima pagina del “Giornale” di venerdì 8 ottobre 2010 è quasi tutta dedicata alla vicenda (il giallo di Avetrana finisce nel taglio basso). Titolo a tutta pagina: Carabinieri in redazione. Occhiello: Censura preventiva per il Giornale. Sommario: Il pm Woodcock manda decine di uomini a setacciare uffici, case e tasche del direttore e di un vicedirettore (trattati come criminali) alla ricerca di presunti dossier. Risultato? Non hanno trovato nulla. Perché non c’era nulla da trovare.
L’apertura è di Feltri: «è ufficiale. Siamo trattati come delinquenti», attacca. Sallusti, invece, è preoccupato per le tasche dei contribuenti e scrive: «Una ventina di carabinieri spediti da Napoli a Milano, Roma e Como per cercare articoli sul presidente degli industriali Emma Marcegaglia. E’ la prova che le procure non sono in bolletta come sostengono i magistrati», e via dicendo. Il vero protagonista della vicenda, però, è il vicedirettore Nicola Porro, il quale sostiene di essere stato frainteso e dà la sua versione dei fatti in un articolo dal titolo: Trattato da delinquente per una telefonata. Scrive Porro: «…rischio qualche annetto di carcere per violenza privata ai danni di Emma Marcegaglia. Cosa ho detto ad Arpisella di così grave? “Adesso ci divertiamo a rompere il c… a Marcegaglia per venti giorni”, aggiungendo di aver spostato i segugi da Montecarlo a Mantova».
Anche in questo caso, vengono dedicate alla storia tutte le pagine del “primo sfoglio”, fino a pagina 7. Naturalmente, il pm anglonapoletano Woodcock è oggetto di un’attenzione particolare da parte del “Giornale” che con l’apertura di pagina 5 tiene a ricordare Tutti i flop del magistrato che spia i vip. Si legge nel sommario che «il pm Woodcock da Napoli in 10 anni di attività ha già collezionato una lunga serie di inchieste fallimentari» e in un catenaccio che «dopo l’arresto nel 2006 di Vittorio Emanuele naufraga il “Savoiagate”».
Il caso Marcegaglia è solo l’ultimo di una lunga serie di azioni di opposition research del “Giornale”, quotidiano fondato nel 1974 da uno dei grandi nomi del giornalismo italiano, Indro Montanelli, uscitone dopo l’ingresso di Berlusconi nella proprietà.
Scrive Murialdi a proposito della nascita del quotidiano di via Negri a Milano: «Con il Giornale s’inserisce nella mappa dei quotidiani nazionali un foglio di opinione moderata, che interviene nelle vicende politiche. Un foglio che è un quasi partito, diretto da un giornalista carismatico»[1].
Eppure, anche se di area moderata, “il Giornale” è uno dei pochi quotidiani che sono riusciti a rimanere indipendenti dal potere politico, almeno finché è stato sotto la direzione del suo fondatore.
Travaglio individua i prodromi dell’uscita di Montanelli dal Giornale proprio nell’insofferenza dell’anziano direttore nei confronti di qualsiasi tentativo di condizionamento da parte del presidente del consiglio Bettino Craxi[2].
E’ la fine di agosto del 1983. Montanelli non è molto tenero con il neonato governo di Craxi il quale s’infuria e telefona al suo amico Silvio Berlusconi, proprietario del 37,5 per cento delle quote de “il Giornale”.
Le amicizie berlusconiane lasciano del tutto indifferente Montanelli. Ma è difficile spiegarlo a Craxi, il quale fra l’altro ha argomenti molto persuasivi nei confronti del compare: l’Italia è priva di una legge che regoli il sistema televisivo e Berlusconi ha potuto fare man bassa di emittenti (…), antenne, frequenze e pubblicità proprio grazie al Far West legislativo. (…) Montanelli di queste cose s’infischia. Apprezza alcuni aspetti della politica di Craxi, (…). Ma detesta i tratti dominanti dell’uomo, dalla “guapperia” a certe frequentazioni molto poco raccomandabili. E non perde occasione per scriverlo sul Giornale[3].
Altri tempi. Oggi il quotidiano di via Negri viene definito una “macchina del fango”. Uno dei grandi del giornalismo d’inchiesta italiano, Giuseppe D’Avanzo, scomparso improvvisamente nell’estate del 2011, ci ha lasciato una sua analisi del giornalismo di Feltri su “la Repubblica” del 11 ottobre 2010. In un lungo articolo dal titolo Così colpisce la fabbrica dei dossier al servizio del Cavaliere, D’Avanzo paragona il bergamasco direttore del “Giornale” a Brighella, la maschera della commedia dell’arte che nasce nella Bergamo alta: un attaccabrighe, un briccone, un bugiardo, per il quale è informazione
la torsione della volontà, la sopraffazione morale di chi dissente dal Capo attraverso un’aggressione spietata, distruttiva, brutale che macina come verità mezzi fatti, fatti storti, dicerie poliziesche, irrilevanti circostanze, falsi indiscutibili. Un’atrocità che pretende di restare impunita o quanto meno tollerata perché, appunto, giornalismo. Ma, quella roba lì, la si può dire informazione? È un giornalista, il direttore del giornale di Silvio Berlusconi? Il suo mestiere è il giornalismo?[4]
[1] P. Murialdi, Storia del giornalismo italiano, Il Mulino, Bologna 2000, p. 254.
[2] M. Travaglio, Montanelli e il cavaliere. Storia di un grande e di un piccolo uomo, (supplemento a “l’Unità”, edizione speciale su licenza di Garzanti libri SpA), Nuova iniziativa editoriale SpA, Roma 2004.
[3] Ivi, p. 23.
[4] Giuseppe D’Avanzo, Così colpisce la fabbrica dei dossier al servizio del Cavaliere, “la Repubblica”, 11 ottobre 2010.
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