Riforma e riformila

Riforma e riformina

Giancarlo Minicucci
di Giancarlo Minicucci

 

Basterebbe non avere gli occhi foderati di prosciutto per capire che i Ministeri vigilanti sull’Inpgi, vale a dire Lavoro ed Economia, hanno smascherato le manovrine del CdA uscente dell’Istituto e hanno sonoramente bocciato quella parte della riforma che “voleva” essere all’acqua di rose e che non potrà esserlo, qualunque CdA andrà a formarsi dopo il voto della settimana dal 22 al 28 febbraio. Chiunque governerà in via Nizza dovrà metter mano a quella parte strutturale di riforma che oggi non c’è e lascia Inpgi pericolosamente nelle sabbie mobili del dissesto e del commissariamento.

 

Brindano Camporese e liste collegate alla maggioranza uscente e usano a scopo elettorale quel 75 per cento delle misure approvate dai ministeri. E tra queste proprio il ridicolo risparmio sulle vedove che il CdA avrebbe potuto evitare, considerato il risibile introito che porterà alle case dell’Inpgi.

 

Ma quel 75 per cento era ed è il minimo sindacale per una riforma della previdenza dei giornalisti sull’orlo del fallimento.

 

Ben altro significato hanno le seguenti bocciature:

1) Stop alle clausole di salvaguardia – maglie troppo larghe – per chi  è in prossimità della pensione (qualche mese dunque, non semestri).

2) Nessun prelievo forzoso sulle pensioni (da seimila e 91.250 euro lordi)

3) No alla decisione (insufficiente) di alzare da 65 a 66 anni l’età pensionabile.

4) Vanno ridefiniti i requisiti di accesso alle pensioni di anzianità.

5) Rimodulazione del trattamento di disoccupazione (troppo basso il taglio del 5 per cento).

6) No alla “graduale attenuazione” per la revisione dei diritti di accesso alla pensione.

 

E cosa resta della riformina. Beh, qualcosa di importante resta:

Aumento delle aliquote contributive ( dal primo gennaio 2016)  a carico degli editori (dal 22,28 al 23,81) e di quelle a carico dei giornalisti (dall’8,69 al 9,19). Dal primo gennaio 2017 un punto percentuale in più per gli editori a sostegno della Cigs. Bloccata al solo indice Istat di aumento del costo della vita la rivalutazione della retribuzione pensionabile ( cancellato, dunque, l’uno per cento della legge Amato del ’92). Il coefficiente di rendimento delle pensioni scende dal 2,60 al 2,30.

 

Tutto questo in base al comunicato pubblicato sul sito Inpgi. Del documento dei Ministeri per ora non c’è traccia.

 

Ora che gli organi vigilanti hanno espresso il loro giudizio, s’è aperta la corsa a chi la spara più grossa. Se da un lato Camporese fa finta di festeggiare perchè i ministeri “avrebbero premiato il lavoro e la serietà di intenti del cda uscente”, dall’altro il segretario della Fnsi Raffaele Lorusso dice che dai ministeri “deriva un danno ai disoccupati, ai cassaintegrati e ai colleghi prossimi alla pensione”. E aggiunge “chi si è scagliato contro la manovra ha ottenuto il risultato di mettere in discussione le clausole con le quali si volevano tutelare i colleghi più deboli”. Come se quel che hanno deciso i Ministeri possa esser stato influenzato da chi ha criticato la manovra del CdA.  Forse Lorusso sa cose che noi non sappiamo, o forse non ha ancora capito che per quanto meritevole sia la battaglia per la tutela dei colleghi più sfortunati, ben altro obiettivo è quello di salvare dal disastro l’Istituto che paga le pensioni (e la Cig e tante altre cose) a tutti i giornalisti italiani e continuerà (forse) a pagarle anche nei prossimi decenni.

 

Ultima annotazione: dal segretario della Fnsi ci si aspetterebbe una visione politica più ampia e attenta: invece le logiche sindacali e di bottega prevalgono su logiche d’insieme che riguardano davvero tutti. Le stesse logiche sindacali che hanno portato negli ultimi vent’anni a contratti ridicoli (equo compenso compreso), gli editori a far il comodo loro e l’Istituto di previdenza sull’orlo del fallimento.

 

Giancarlo Minucucci

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