Davanti al genocidio a Gaza, l’Ordine partorisce un appello monco

Speciale Per Senza Banaglio
Alessandra Fava
Roma, 16 giugno 2025

A Gaza si muore di fame. C’è poca acqua potabile, manca il cibo, i pochi presidi medici hanno poco per curare le decine di persone che arrivano con ferite da guerra tutti i giorni. Lo dicono le organizzazioni internazionali, lo ribadisce l’Urwa (l’organizzazione dell’ONU che si occopa di aiutare i palestinesi nei territori occupati) che da mesi non può più distribuire niente perché lo stato di Israele ha deciso che non devono essere loro a portare aiuti ai palestinesi e occuparsi di distribuire il poco che viene lasciato passato alle frontiere, ma società americo-israeliano che si umanitario hanno poco, anzi sono fatte di mercenari che sparano sulle folle in coda per il cibo.

Questa è la situazione oggettiva. Altrimenti come mai continuano ad esserci morti tra la popolazione civile, a decine ogni giorno e risultano colpiti nelle aree di distribuzione del cibo come si stesse facendo un tiro al piccione?

Che cosa i gazawi chiedono lo sentiamo in decine di video, interviste e appelli: il cessate il fuoco, la distribuzione di cibo, acqua e medicine e la fine dell’attacco. Non credo che per prima cosa chiedano l’entrata nella Striscia della stampa internazionale.

E invece l’Ordine dei giornalisti alla fine ha lanciato un appello proprio per l’entrata a Gaza della stampa internazionale senza menzionare la situazione oggettiva sotto gli occhi di tutti, senza chiedere la fine della guerra e l’arrivo degli aiuti per quasi 2 milioni di persone.

A differenza dei genocidi del Novecento, quello armeno inizialmente a conoscenza dei diplomatici tedeschi, la deportazione ebrea a opera dei tedeschi e degli italiani di Mussolini a conoscenza certo della Santa Sede, dei vicini di casa che vedevano sparire gli ebrei e di chi abitava vicino ai campi di sterminio, questo genocidio palestinese è ampiamente documentato, sia in Cisgiordania e tanto più a Gaza, almeno fino al blackout informatico di ieri.

Non c’è da fare molto debunking per vedere che si tratta di testimonianze vere. E i giornalisti italiani che fanno? Si dividono tra chi tutto sommato approva l’operato del governo Netanyahu perché uccidere migliaia di persone in fondo è difesa legittima dopo l’attacco del 7 ottobre e chi pensa altrimenti, ma non finisce nell’appello dell’Ordine.

A parte il fatto che i consiglieri nazionali eletti, tra cui la sottoscritta, non sono stati messi in grado di partecipare anche solo come uditori online, mentre ai consigli nazionali decine di persone partecipano a distanza, è evidente che l’incontro con i direttori non ha creato una maggior attenzione su Gaza, che era l’intento iniziale del Presidente dell’Ordine.

Quindi noi di Senza Bavaglio appoggiamo la decisione de Il Manifesto di non firmare l’appello perché evidentemente ci sono stati i distinguo e non si è arrivati a un appello per un’attenzione mediatica su Gaza, non si è arrivati al presupposto che serve un’informazione democratica e oggettiva per informare gli italiani su un genocidio in corso, ma si è tornati come i gamberi a un appello sull’accesso dei media a Gaza, appelli simili già fatti a decine da Paesi e associazioni di giornalisti in questi quasi tre anni di guerra contro Hamas e per la liberazione degli ostaggi che non mette fine né ad Hamas, né libera gli ostaggi.

L’episodio italico ha messo in evidenza le crepe della nostra informazione, la mancanza di coraggio delle figure apicali delle testate, la sottomissione ai dictat di non so chi. Con la guerra Iran-Israele in corso non abbiamo da attenderci una maggiore obiettività. E il non informare è essere collusi col genocidio, con la propaganda e fornire un pessimo servizio pubblico.

Alessandra Fava
alessandrafava2023@proton.me

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Le iconografia pubblicate sul sito di Senza Bavaglio sono di Valerio Boni

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