Speciale Per Senza Bavaglio
Emanuela Provera
Milano, 19 aprile 2023
“Maestro oceanico”, “prezioso conquistatore”, “presenza”, “gemma che esaudisce i desideri”, sono solo alcuni degli appellativi utilizzati per indicare il Dalai Lama; termini di enorme impatto simbolico, che conferiscono a sua santità Tenzin Gyatso un’aurea profetica e universale. Lo ricorda l’Unione Buddhista italiana “Sua Santità il Dalai Lama ha lavorato esclusivamente e instancabilmente per il bene di tutti gli esseri in tutto il mondo”.
Una comunità che chiama “Sua santità” il proprio capo è confessionale e il ruolo di mediazione che pretende di svolgere spesso diventa ipertrofico. Come mai l’insegnamento universale del Dalai Lama perde improvvisamente la sua ampiezza di senso dovendosi giustificare come espressione di una cultura locale e spirituale? Un corto circuito che apre uno scontro insanabile di opinioni contrastanti.
L’acceso dibattito cui stiamo assistendo, dopo la circolazione del video in cui la massima autorità religiosa del buddismo chiede a un minorenne di succhiargli la lingua, spacca in due la comunità dei fedeli: da una parte quelli per cui “il Dalai Lama non ha commesso alcun abuso sessuale”, dall’altra le vittime di abusi che interpretano il gesto del maestro come un indiscusso abuso sessuale.
Tra i primi Giuliano Ferrara che considera l’esibizione ridente della lingua un gesto con “scopo goliardico e rituale” e definisce setta pornopuritana la cerchia di quelli che hanno considerato l’atto di Gyatso l’espressione inequivocabile di un comportamento pedofilo[1]
Luigi Corvaglia, tra i pochi esperti in Italia di culti, con particolare attenzione ai rapporti tra libero arbitrio e persuasione, nonché membro del Fecris [Fédération européenne des centres de recherche et d’information sur le sectarisme], interpellato da Senza Bavaglio obietta ponendo una domanda: “La riflessione, piuttosto, è su come il carisma spirituale, supportato dalla venerazione dei fedeli, possa sfociare in una licenza a infrangere i limiti. La domanda, quindi, è: è tollerabile che l’integrità fisica, e non solo, dei fedeli sia violata sulla scorta di supposte virtù spirituali?”.
Che il corpo di un bambino non sappia nulla dell’apparato giuridico simbolico dei gesti di un adulto è opinione condivisa anche dallo psicoanalista Maurizio Montanari: “Quando chiedi a un bambino di tirare fuori la lingua e di succhiartela, viene corrotto, colpito, traumatizzato. Non dobbiamo chiederci cosa prevede la struttura religiosa, ma chiederci come può reagire il soggetto indifeso ad un vecchio che gli chiede di tirare fuori la lingua e di mettergliela in bocca. Se ponderassimo la tradizione culturale staremmo dalla parte dell’aggressore”. Ma eistono purtroppo strutture teologiche che rendono i reati culturalmente accettabili.
Tra le associazioni che hanno manifestato solidarietà alle vittime di violenza c’è Meti APS ONLUS[2] (Associazione per la tutela di chi ha subito abusi nell’infanzia): il 14 aprile scorso la presidente, Laura Monticelli, ha inviato un esposto all’Ordine dei giornalisti della Lombardia chiedendo di verificare il contenuto dell’articolo di Giuliano Ferrara per eventualmente farlo rimuovere: “Riteniamo che questo scritto offenda e sminuisca in maniera generale e globale le vittime di abuso sessuale infantile e tutti coloro che si occupano di prevenire e/o affrontare questo tipo di crimine.”
Ma la fondatrice e presidente di Metis ha voluto rivolgere a Giuliano Ferrara anche alcune parole a titolo personale, che pubblichiamo qui di seguito:
Egregio Dottor Ferrara
Sono Laura Monticelli survivor di abusi sessuali e maltrattamenti nell’infanzia.
Le scrivo per rivolgerle le mie più sentite scuse e comincio con chiederle, appunto, scusa se troverà questa lettera noiosa.
Così vorrei chiederLe umilmente scusa se sono nata in una famiglia disfunzionale, se sono diventata orfana di padre a soli otto anni, se il tribunale dei minori ha deciso di affidare me e mia sorella a un tutore, ritenendo che mia madre non fosse in grado di badare a noi.
Le chiedo scusa se questo signore, quasi cinquantenne, ha abusato sessualmente di me, che non avevo compiuto ancora nove anni, continuando per quasi cinque anni.
Le chiedo scusa se questo signore mi ha picchiato violentemente più e più volte tenendomi segregata in casa lontana dai miei coetanei e dalla gente del mio piccolo paese.
Le chiedo scusa se non sono stata capace di reagire, di chiedere aiuto, di ribellarmi da sola.
Le chiedo scusa se in una fredda giornata di gennaio un Maresciallo dei carabinieri è dovuto intervenire per portarmi in salvo, mio malgrado. Nell’ultima violenta esplosione della sua rabbia io ho rischiato la vita.
Le chiedo scusa se ho occupato e consumato tempo, spazio, carte, inchiostro, sangue e anima, mio e altrui durante il processo che ha visto quell’uomo condannato a otto anni di carcere per abusi su minore.
Le chiedo scusa se non ho potuto studiare, prendere un diploma o una laurea e presentarmi a Lei con un titolo che accompagni il mio nome.
Le chiedo scusa se, nonostante tutto, sono diventata adulta, madre, moglie, lavoratrice, lettrice curiosa, affamata di storie e verità.
Le chiedo scusa se sono una scrittrice, presidente di un’associazione, facilitatrice di gruppi di auto mutuo aiuto, se accolgo e accompagno persone nel loro percorso di fuoriuscita da quel trauma che lei sminuisce, disconosce, deride.
Le chiedo scusa se, nonostante tutto, io oggi ho trovato il coraggio e son qui a esprimere il mio disappunto per le Sue parole.
Le chiedo scusa se sono una dei tanti “coglione collettivo”, come li definisce lei nell’articolo dell’11 febbraio scorso, che combatte ogni giorno i suoi fantasmi e alza la voce di fronte ad un atto volgare e violento del quale, pensi un po’, si è scusato lo stesso Dalai Lama.
Le chiedo scusa se ritengo insopportabile tutto quello che è successo: l’esposizione del bambino a una violenza, l’indifferenza collettiva, le risate, la tradizione, la cultura, sminuire l’episodio, giustificare, ridicolizzare, veicolare immagini abusanti e violente.
Le chiedo scusa se non mi trovo d’accordo con Lei nell’esaltare un potente, Premio Nobel per la pace, sminuendo la vittima, esattamente come succede ogni giorno sulla terra nelle dinamiche di abuso.
Il potere rende abusanti, il non averlo rende vittime.
Infine, Le chiedo scusa se non merito il suo interesse, la sua difesa.
Le chiedo scusa se non sono un Premio Nobel, se non sono abbastanza potente da meritare la sua conoscenza perché Le potrei spiegare, con l’esperienza della vita, cos’è un abuso e perché è più facile scrivere un articolo bizzarro come il suo piuttosto che una lettera piena di forti emozioni come la mia.
Emanuela Provera
emanulapro@alice.it
dentrolopusdei@gmail.com
twitter @dentrolod
©️ RIPRODUZIONE RISERVATA
[1] No, quel bacino goliardico del Dalai Lama non è pedocriminale | Il Foglio
[2] https://www.assometi.org
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