Senza Bavaglio
Milano, 29 luglio 2017
La rivoluzione in Condé Nast passa attraverso scelte che lasciano basiti, perplessi per non dire inorriditi. Come quella di ieri: chiudere ben 4-quattro-testate, brand extention del mensile Vogue (Sposa, Bambino, Uomo e un’altra testata dell’area accessory). Una drastica mossa che coinvolgerà 14 colleghi considerati in esubero.
Da anni la divisione italiana del colosso editoriale americano guidato fino al prossimo 1° settembre dal plenipotenziario Giampaolo Grandi (gli subentrerà, nel ruolo di ad Fedele Usai, manager di lungo corso dell’azienda, mentre Grandi resterà presidente), nonostante macini margini importanti (nel 2015 il margine operativo lordo era di 12 milioni, +33% rispetto al 2014) e sia in utile (2,3 milioni contro i 4 milioni dell’anno precedente), e dia un corposo dividendo alla casa madre d’Oltreoceano (7,1 milioni a fine 2014, 1 milione al termine con l’approvazione del bilancio 2015), ha deciso di intervenire spesso in maniera fuori dal comune sull’organico.
Non è un mistero che ci siano state a più riprese e per più testate pressioni o opera di moral suasion per incentivare i colleghi all’esodo. Tutto dietro un robusto compenso, una buonuscita di alcune annualità. Un piatto ricco, tanto i soldi alla Condé Nast Italia non mancano: solo nel 2015, come riportava tempo addietro Italia Oggi, la società ha spesato 6,3 milioni di costi straordinari per l’incentivo all’uscita dei giornalisti e dei dipendenti. E anche il 2016 pare che si sia chiuso con un bel saldo positivo all’ultima riga di bilancio: profitti per 3 milioni. E si taglia, lo stesso.
Nei mesi scorsi, la società era balzata agli onori delle cronache sindacali per il licenziamento di una giornalista nonostante il gruppo si trovasse in solidarietà difensiva. I colleghi della società fecero più giorni di sciopero, ma ai piani alti della Condé Nast, in particolare nell’ufficio di Grandi, non si guarda in faccia nessuno. La regola è solo una: business is business. Al punto che, come si sosteneva in ambienti sindacali ed editoriali, già più di un anno fa la casa editrice stava lavorando alla revisione dei contratti di lavoro nazionale, per abbandonare il contratto giornalistico e trasfomarsi in società di servizi: non a caso Usai fu uno dei primi a presentare diversi anni fa i progetti di native advertising per alcune testate del gruppo.
Adesso le ultime, drastiche o drammatiche novità. Perché da un lato la Condé Nast ha rivoluzionato l’assetto di Vanity Fair, chiamando il nuovo responsabile, Daniela Hamaui (anni 62, quindi alle soglie del pensionamento), già direttorA di D, l’allegato femminile di Repubblica e poi de L’Espresso, che in men che non si dica ha assunto due nuovi vice direttori: Malcom Pagani, ex L’Espresso, Fatto Quotidiano e per due mesi Messaggero; e la new entry, giovanissima, 35 anni, Serena Danna, redattrice del Corriere della Sera – dove si occupa di culture digitali come si legge sul suo blog, Eliza – dopo essere stata al Sole24ore e prima ancora al Manifesto, che sarà la responsabile dell’online dopo l’uscita di Justine Bellavita appena nominata a capo di Vogue International.
Professionisti che si vanno a sommare a due “sub-direttori” (direttore e condirettore della Moda), per una testata che diffonde complessivamente più di 215mila copie (dato Ads di maggio), ma che in un anno ha visto calare di quasi 20mila copie (da 67.200 a 48.800) quelle vendute in edicola.
Ma dall’altro, Grandi e Usai, probabilmente su input del socio americano, hanno deciso di chiudere ben 4-quattro-testate, brand extention del mensile Vogue (Sposa, Bambino, Uomo e un’altra testata della linea accessory). Una drastica mossa che coinvolgerà 14 colleghi a quali l’azienda ora sta cercando di imporre un addio forzoso ma ben pagato: 40 mensilità per andarsene. Oltre tre anni di stipendio.
Una soglia assurda e mai raggiunta prima sul mercato che potrebbe creare un precedente. Tanto più che evidentemente la Condé Nast ha il cash per fare queste operazioni-lampo che vanno a depauperare il valore della carta.
E’ una mossa lecita, di mercato, onesta, vera? Si possono pagare così tanti soldi a dei colleghi per mandarli via? E a quale scopo? Per avere i bilanci con numeri sempre peggiori e margini in diminuzione per andare poi a chiedere altri stati di crisi o millantare problematiche gestionali?
La Condé Nast è un pezzo di storia del giornalismo mondiale e italiano, che opera nei settori più ricchi in termini pubblicitari (moda, lusso ecce cc). Perché si comporta cosi? Cosa vuole ottenere? Vuole far saltare il banco? Non basta la Hearst che manda giovani virgulti in Svizzera a sviluppare i siti web di buona parte delle sue testate?
Senza Bavaglio
twitter @sbavaglio
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