Che vincessero i “no” o i “si” era quasi indifferente, la cosa importante era che ci fosse un testa a testa, come gli stessi sondaggi prevedevano. Un situazione di quasi parità avrebbe spinto entrambe le parti a riaprire le trattative con la consapevolezza che bisognava in tutti i modi trovare un accordo, concedendo qualcosa in più. La vittoria schiacciante dei “no”, ma lo stesso sarebbe stato in caso di vittoria schiacciante dei “si”, complica invece maledettamente la situazione.
Tsipras adesso ancora di più non potrà retrocedere rispetto alle promesse fatte in campagna elettorale. Ma anche i paesi che gli sono più avversi avranno la stessa rigidità, perché ritengono di aver subito un affronto, come le prime dichiarazioni dopo il voto referendario dimostrano.
Nei nostri precedenti interventi abbiamo sempre dimostrato una certa simpatia per le posizioni greche e un atteggiamento critico verso quelle della Germania e dei suoi satelliti, però ora è giunto il momento di essere più chiari e precisi. Le responsabilità della Germania sono evidenti e pesanti, ma è assolutamente sbagliato e falso attribuire a esse la situazione di default della Grecia. La politica di austerità imposta dagli organi comunitari può aver complicato il cammino verso la ripresa, ma la situazione fallimentare delle finanze pubbliche di Atene preesisteva e trovava la sua origine esclusivamente nei comportamenti dei governanti greci. Questo va detto con chiarezza.
Non è stato un bello spettacolo quello mostrato dalle televisioni subito dopo i risultati del referendum, di un popolo festante nella piazza Syntagma di Atene. Non è stato rassicurante vedere il presidente del Parlamento ellenico uscire nella predetta piazza a raccogliere il plauso della popolazione manifestante. Nell’attuale situazione sarebbe stato molto più consigliabile un atteggiamento più sobrio da parte di tutti. E’ fin troppo facile conseguire una vittoria in un referendum dove l’alternativa rappresentata era tra maggiori o minori sacrifici. Non vorremmo che quella festa in piazza sia il classico ballo sul Titanic.
Da parte greca è necessario acquisire un atteggiamento più rispettoso verso i creditori. Un governo non può paragonare chi in fondo gli ha prestato dei soldi ai “terroristi”, perché poi provoca la reazione a caldo del governo tedesco dopo i risultati referendari che “Tsipras ha spinto i greci a sbattere contro un muro”. Lo stesso vice cancelliere, il socialdemocratico Gabriel, ha dichiarato che il risultato del voto “ha rotto i ponti verso qualsiasi compromesso”. Con queste dichiarazioni non si va da nessuna parte, anzi si va verso l’uscita della Grecia dall’euro e dalla Ue, e pone l’intero continente su un cammino incognito.
Oggi per tutti i governi europei la situazione si è fatta più difficile. Darla vinta ad Atene può significare far vincere alle prossime elezioni Podemos in Spagna, Le Pen in Francia e M5S in Italia, perché offrirebbero maggiori garanzie di spuntarla verso Bruxelles, Francoforte e Berlino, così come l’avrebbe spuntata Syriza. D’altro canto seguire la testardaggine tedesca e la sua voglia di impartire una lezione al governo ellenico, potrebbe voler dire far crescere quei movimenti per altra via. Insomma è il momento della politica più che dell’economia, ma di quella “alta”.
I governanti europei devono dimostrare, più che in altri momenti, di essere dei veri statisti e dei veri costruttori dell’unità europea. Ma i governanti greci devono smetterla di sentirsi sempre come in una manifestazione di piazza senza fine, e devono rendersi conto che governare non è come scandire deglislogan alla testa di un corteo. Devono smetterla di sentirsi vittima di un complotto internazionale capeggiato dalla Germania e ammettere che è responsabilità prima di tutto loro se si trovano in questa situazione.
Il parteggiare per loro, come spesso abbiamo fatto noi, e come abbiamo intenzione di continuare a fare, non vuol dire disconoscere le loro colpe evidenti, ma solo riconoscere che l’Unione europea deve essere solidale verso i propri membri, anche verso quelli che possono aver commesso qualche leggerezza in passato. I greci con le loro esuberanze non inducano i loro simpatizzanti a cambiare opinione. Non si può offendere i creditori e poi chiedere loro altro credito, è un atteggiamento cui nessuno, anche i meglio disposti, possono cedere. Come pure bisogna fare attenzione agli alleati che ci si ritrova per strada, possono esserci fra questi anche soggetti la cui mira è solo il dissolvimento dell’euro e dell’Unione europea, e dei greci non gliene importa un fico secco. Non sarà solo un caso che alcuni di questi soggetti invocano anche la fine delle sanzioni verso la Russia.
Ma dobbiamo anche sperare che i risultati di questo voto facciano rinsavire tutti coloro che vedono nella sola austerità la via per il risanamento dei conti e la ripresa delle crescita. Devono riconoscere che le loro ricette sono state non solo fallimentari dal punto di vista economico, ma anche altamente pericolose dal punto di vista politico.
Mentre scriviamo ci giunge la notizia che il ministro Varoufakis si è dimesso. Ha offerto il proprio scalpo sul tavolo delle trattative, è un gesto simbolico che può avere un suo significato e svolgere un suo ruolo positivo, ma non pensiamo nel brevissimo termine. Temiamo che all’inizio si avrà un irrigidimento da parte delle istituzioni europee, e solo dopo si potrà riprendere a ragionare, forse ci vorranno altri gesti simbolici da parte di Atene. Un primo saggio lo avremo nelle prossime ore, quando la Bce deciderà se accordare altra liquidità alle banche greche oppure no. Staremo a vedere, altro non si può dire perché la situazione è veramente ingarbugliata.
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