Cause di lavoro: incostituzionale la legge che obbliga i giudici a non compensare le spese legali

Senza Bavaglio
Roma, 23 aprile 2018

La Consulta boccia l’articolo 92 del codice di procedura penale: è incostituzionale. Quell’articolo obbligava il giudice a non compensare le spese legali, cioè a non sentenziare: “Ognuno si paga i suoi avvocati”. Quella legge era stata “inventata” dai governi Berlusconi, Letta, Monti e (soprattutto Renzi), tutti impegnati a smantellare i diritti dei lavoratori. Di fatto un dipendente che voleva fare causa al suo datore di lavoro era intimidito perchè in caso di perdita avrebbe avrebbe dovuto pagare le intere spese di giudizio, le proprie ma anche quelle della controparte. Di fatto quella norma, ora abrogata, negava il diritto dei lavoratori alla difesa.

Senza Bavaglio

Da Il Fatto Quotidiano
Valeria Tancredi
Bologna, 23 aprile 2018

Tocca ancora ai giudici porre rimedio ai danni compiuti da legislatori frettolosi e con scarse conoscenze giuridiche. La Corte Costituzionale ha dichiarato incostituzionale l’art. 92 del codice di procedura civile il quale, nella sua ultima formulazione – a seguito della modifica del 2014 – impediva in via generale al magistrato di compensare tra le parti le spese di giudizio. Tale previsione era particolarmente punitiva per i lavoratori costretti ad andare in giudizio per rivendicare i propri diritti perché al rischio, sempre presente, di perdere la causa, si aggiungeva quello di dover rifondere in caso di sconfitta le spese della propria controparte datoriale così come stabilite dal giudice.

Si tratta di una delle tante misure adottate dagli ultimi governi per disincentivare i cittadini a ricorrere alle aule di tribunale ed il crollo delle cause registrato negli ultimi anni dimostra che tale deterrenza ha funzionato e moltissimi lavoratori hanno rinunciato a chiedere giustizia per il timore di dover pagare migliaia di euro di spese anche all’avvocato della controparte oltre che al proprio.

Nella versione modificata nel 2014, la possibilità di compensare le spese era circoscritta a pochi e rari casi, la Corte estende ora questa possibilità  anche all’ipotesi di “gravi ed eccezionali ragioni” quindi il giudice torna a poter entrare nel merito dei fatti che lo hanno persuaso a respingere le ragioni del lavoratore, come faceva prima del 2014, e decidere su quella base che ognuno si paghi le proprie spese legali. La Corte ha infatti riconosciuto che in molti casi il lavoratore deve “promuovere un giudizio senza poter conoscere elementi di fatto, rilevanti e decisivi, che sono nella disponibilità del solo datore di lavoro”. Questo elemento dunque, insieme ad altri, potrà ora essere valutato dal giudice sotto il profilo delle gravi ed eccezionali ragioni che gli consentono di esonerare il lavoratore dalla condanna alle spese legali.

L’eccezione di costituzionalità è stata sollevata dal tribunale di Torino e da quello di Reggio Emilia su input di alcuni avvocati lavoristi associati a Comma2  che avevano dubitato della legittimità costituzionale della norma, specie con riferimento al processo del lavoro, in quanto caratterizzato da una particolare “debolezza”, processuale e spesso economica, di una delle due parti in causa.

La Corte non ha accolto la tesi sulla posizione di debolezza soggettiva e sostanziale del lavoratore, ma ha valutato la questione solo dal punto di vista processuale constatando che il lavoratore quando fa causa non ha in mano tutti gli elementi che invece ha in mano il datore di lavoro quindi la sua sconfitta legale è spesso incolpevole.

Un’altra sentenza che dimostra dunque che le riforme che i governi Berlusconi, Monti, Letta, Renzi hanno portato avanti per cancellare le tutele dei lavoratori violano e si scontrano con i principi fondamentali del nostro ordinamento giudiziario nazionale e sovranazionale, uno scempio giuridico cui i giudici tentano di rimediare con interpretazioni costituzionalmente orientate.

Ad esempio, la cancellazione dell’articolo 18, e quindi della possibilità della reintegra nel posto di lavoro, sta spingendo sempre più magistrati a calcolare i termini di prescrizione a partire dal momento della cessazione del rapporto visto che un lavoratore privo della tutela reale della reintegra difficilmente tenterà di esercitare i suoi diritti durante il rapporto di lavoro, come riconosciuto dal Tribunale di Firenze lo scorso gennaio.

Valeria Tancredi

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