Il premio Faccia di Bronzo ai dirigenti della Lombarda: la cronaca dell’assemblea di ieri spiega perchè

I cosiddetti dirigenti della Lombarda, violando lo statuto dell’Associazione
e una delibera della magistratura, hanno votato durante l’assemblea generale di ieri
una mozione che procrastina ad libitum il loro mandato. Saranno i giudici a decidere se
hanno commesso un altro illecito, dopo quello di marzo dell’anno scorso.
Questa l’esilarante cronaca della disgustosa assemblea di ieri. L’ha scitta mirabilmente
Marinella Rossi che l’ha postata sulla sua pagina Facebook e che riprendiamo qui su Senza Bavaglio.
s.b.

Marinella Rossi
Milano, 26 gennaio 2018

Vi avverto. La cosa è lunga. Ma è una cosa divertente che non farò mai più. Un’assemblea del sindacato dei giornalisti. Il mio. Chi ha letto David Foster Wallace, che non a caso si è suicidato, mi capirà. Gli altri faranno il piacere di fare un po’ come fanno certi giornalisti, taccuino all’aria, aria spaesata di chi arriva sul posto burlato giù dal letto, stazzonato e mal lavato, e non ha avuto tempo e modo, o voglia di documentarsi. Portate pazienza, dunque, e grazie.

Sono scesa ieri mattina nella fossa dei leoni dell’ALG (Associazione Lombarda Giornalisti), di cui mi picco essere socia dalla mia nascita professionale e per quella cattiva abitudine familiare a considerare il sindacato un luogo di virtuoso e caloroso, anche troppo, incontro-scontro dialettico di idee e posizioni, tutte però unidirezionate verso il bene della classe rappresentata. In questo caso chi fa informazione, e dunque, a cascata, anche gli informati, i lettori.

Sono arrivata lì, da neofita, peggio da osservatrice occidentale, mossa da una mail di Stampa Democratica, corrente vincente, che in un comunicato smanacciato, denso di punti esclamativi, consecutio temporum lasciate nelle mani di un antenato di Tonino Di Pietro (non me ne voglia), preconizzava una sorta di colpo di Stato da parte di correnti avverse e invitava le truppe a presentarsi unite a contrastare il rigurgito antidemocratico.

Ho preso qualche, scarsa (sono giornalista anche io), informazione per capire due cose con cui non vi tedierò oltre: la dirigenza è scaduta a dicembre, parte avversa formata da vari cartelli chiede elezioni, la parte sugli scranni pretende rinvio entro o fino a un anno sostenendo che le urne costerebbero troppo, fino a 40 mila euro (deve essere il motivo per cui alcuni regimi attenti alla spending review le elezioni proprio non le fanno).

Bon, il senso è quello immanente e trascendente insieme: dalla poltrona non piace schiodarci. E di questa mia impressione pressapochista ho poi avuto nella fossa dei leoni un’immagine plastica: i padroni di casa, spaparanzati inelegantemente su scranni ma non come alla Camera dei Lord, e la signora madama la marchesa che parla di affari privati ma lo fa in pubblico, e il leader dallo sguardo penetrante alla Travolta agee e mo te lo spiego io, e una serie di incerti accompagnatori con minore prestanza fisica e di ruolo, e una claque di professionisti mai intravisti su un servizio, e giá a mezzo servizio fra Lisbona, pressione fiscale meno oppressiva, e viale Monte Santo, quando mmamma chiama e picciotto va.

Tutto, in quell’assemblea, appariva a me, corpo estraneo, come sopra le righe, farsesco, sovradimensionato come un violento volantino mal scritto da chi di scrittura vive. Così tra urla e strepiti, e in questo certe giornaliste svolgono funzioni di accorte vedette tipo oche del Campidoglio, non si é capito dall’ameno presidente della Lombarda (il quale tra esitazioni lungaggini e sofferenti pause ha fatto perdere il filo del discorso persino a una secchiona come me) il perché non si andasse a votare e punto e a capo e vinca il migliore.

Ma si è capito che il sindacato dei giornalisti, ormai frequentato da noi terza e quarta etá nel pieno del sonno della ragione, è soggetto alle medesime e degradanti dinamiche del mondo fuori, di quella politica che si è pronti con saccenza a stigmatizzare, di quella magistratura che, insomma, quando li finisce i processi? Nessuno, nessuno se ne vuole andare. Nessuno di loro si vuol rottamare come ha contribuito a rottamare decine e centinaia di colleghi giù per la rupe Tarpea dei tagli dolorosi e inevitabili.

Nessuno si guarda allo specchio, lunghi capelli da ragazzo passatello, o sapienti tagli corti da antipatichella radical, nessuno che si dica: ma io che ho fatto per la mia categoria? Ho fallito? Ho trattato con gli editori, al fianco di quelli, o al fianco dei miei colleghi? Ho per caso mandato a casa, avallando con la mia quiescenza e alzando gli occhi al cielo, generazioni di poco più di 50enni, falcidiati con il consenso se non l’attivismo dei comitati di redazione che sono andato a sostenere nelle assemblee, ma senza garantire il turn over e il posto stabile a inferociti trentenni al trentesimo contratto a tempo determinato? Ho per caso attivato col mio comportamento una guerra generazionale, invece che alimentato una virtuosa catena di solidarietá nel passaggio inevitabile ma ben diversamente programmato tra meno e più giovani? Ho per caso fiancheggiato gli editori ad alleggerirsi del carico degli stipendi, spostando quel carico in forma di pensioni superanticipate e ridotte sulle casse dell’Inpgi, l’istituto pensionistico dei giornalisti, che a furia di erogare messe a riposo anticipate e prepensionamenti non ha più un soldo? Perché mi incollo ai cavilli per restare ancora incollato a una poltrona e non dichiaro un dignitoso fallimento?

Quando è il sindacato, la controparte di un lavoratore, prima ancora del datore di lavoro, quel sindacato, che sia scaduto da poco o in decomposizione, ha fallito nel compito istituzionale. Ci si può meravigliare che il leone, che fa il leone, ti divora, o ti strabili se il cacciatore che ti dovrebbe proteggere, al leone non spara, ma pasteggia con lui sui tuoi resti? Domande facili, apparentemente, meno chiare ieri ai padroni di casa dell’Associazione Lombarda che hanno ancora confuso la rappresentanza con la decenza. Ma io lo so che tutti quelli che han resistito, fin qui, a leggere, una risposta facile ce l’hanno. Anche se tacciono. Ce l’hanno sulla punta della lingua. Ma io, che sono un’ingenua, no.

Marinella Rossi
(Marinella Rossi è stata per Il Giorno uno dei più autorevoli cronisti giudiziari di Milano)

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