L’ Agenzia di stampa LaPresse condannata per comportamento antisindacale

Senza Bavaglio
Torino, 22 dicebre 2017

L’agenzia di stampa La Presse è stata condannata dal Tribunale di Torino per comportamento antisindacale tenuto nei confronti dell’Associazione Stampa Subalpina. L’apparato della sentenza impone a La Presse di affiggere la stessa nelle bacheche aziendali e di pubblicarla sul sito internet aziendale per almeno 30 giorni

L’Associazione Stampa Subalpina “si augura che questo pronunciamento possa indurre l’azienda a imboccare la strada di corrette relazioni sindacali e che i comportamenti repressivi messi in atto nei confronti dei lavoratori e dei loro rappresentanti non debbano più verificarsi. Il rispetto dei diritti è un principio irrinunciabile in qualunque contesto ma, se possibile, lo è ancor di più all’interno di quelle aziende che usufruiscono di risorse pubbliche.

La Sentenza

MOTIVI DELLA DECISIONE 

1. L’oggetto del giudizio.

L’Associazione Stampa Subalpina propone opposizione ai sensi dell’art. 28 st.lav. avverso il decreto 13/1/2017 con cui questo Tribunale ha respinto il ricorso ex art. 28 st.lav. proposto dall’associazione stessa e rubricato al n. 6927/2016 RGL compensando le spese di lite; afferma l’opponente che la decisione, che ha negato il riconoscimento dell’antisindacalità alle molteplici condotte censurate con il ricorso introduttivo, è meritevole di riforma, e domanda l’accoglimento delle domande originariamente introdotte ed inoltre – tenuto conto dei fatti sopravvenuti all’introduzione del giudizio – la disapplicazione dell’accordo 25/5/2016 e l’accertamento della nullità del provvedimento di revoca dell’incarico di inviato a Jan Philip Pellissier. La società LaPresse si è costituita nella presente fase chiedendo sia pronunciata l’inammissibilità del ricorso in opposizione, con particolare riferimento alle domande introdotte solo nella fase di opposizione, e nel merito chiedendo il rigetto delle domande. Nella prima fase di giudizio era stato spiegato intervento a sostegno delle ragioni della ricorrente da parte della Federazione Nazionale della Stampa Italiana (FNSI), non costituitasi nel presente giudizio di opposizione (si segnala che per mero errore materiale il nominativo di tale soggetto, dichiarato contumace all’udienza del 20/4/2017, è stato omesso nell’intestazione del dispositivo della sentenza). Effettuato senza esito il tentativo di conciliazione ed acquisita documentazione prodotta dalle parti, la causa giunge a decisione senza necessità di ulteriori approfondimenti istruttori.

2. Le condotte censurate nella prima fase del giudizio.

Parte ricorrente ha dedotto la natura antisindacale delle condotte attuate dalla società convenuta e analiticamente descritte dai punti da 1 a 9 delle considerazioni in diritto del ricorso introduttivo della prima fase del giudizio: le stesse debbono essere esaminate singolarmente, seguendo la numerazione contenuta in ricorso (parzialmente modificata nel decreto opposto).

1-2) L’Associazione Stampa Subalpina lamenta che la società LaPresse, a fronte dell’intervento del proprio dirigente sindacale Jan Philip Pellissier per chiedere conto della mancata corresponsione ai dipendenti di alcune maggiorazioni retributive previste dal CCNL, avrebbe pubblicamente negato il suo diritto ad interessarsi delle retribuzioni percepite dai colleghi, ed avrebbe adottato provvedimenti intimidatori quali la minaccia di sanzionare disciplinarmente il dirigente sindacale, di bloccare trasferte e investimenti.

Il decreto oggetto di opposizione non risulta condivisibile laddove afferma che l’eventuale contestazione, da parte della responsabile del personale di LaPresse, della legittimazione di Jan Philip Pellissier ad interessarsi delle retribuzioni non avrebbe natura antisindacale, rientrando nel fisiologico conflitto tra le parti sociali, e che le reazioni minacciose sarebbero prive di attualità.

La valutazione non può prescindere dalla premessa – pacifica – circa la abituale mancata corresponsione ai dipendenti di LaPresse delle maggiorazioni retributive previste dagli artt. 10 e 19 del CCNL: poco rileva che ciò possa essere accaduto con il benestare del Comitato di Redazione, non potendosi seriamente dubitare della legittimazione delle organizzazioni sindacali a farsi carico delle questioni retributive e ad interloquire in merito con la parte datoriale, ancorché nelle agenzie di informazione per la stampa occupanti almeno dieci redattori – qual è la convenuta – venga istituito ai sensi del CCNL un comitato di redazione al quale è demandata la tutela dei diritti morali e materiali derivanti ai giornalisti dal CCNL stesso e dalle norme di legge.

Il medesimo Pellissier, sentito come teste nella prima fase del giudizio, ha riferito come fosse noto che alcuni emolumenti previsti dalla contrattazione collettiva non fossero corrisposti, e come – pur mancando accordi taciti con il Cdr per la rinuncia a tali emolumenti – non vi fossero state precedenti rivendicazioni in quanto “c’erano dei colleghi precari da stabilizzare, temevamo quindi la reazione dell’agenzia che più volte negli anni ha minacciato la chiusura”; il teste ha dichiarato: “non essendovi più precari, ho deciso che era arrivato il momento di portare avanti questa legittima richiesta. Io dopo la ventilata possibilità della stipula di contratti di solidarietà, avevo sollecitato il Cdr a convocare un’assemblea per discutere questo tema. Già noi rinunciavamo al 30% circa del nostro stipendio e quindi i contratti di solidarietà ci avrebbero ulteriormente danneggiato. Io intendevo ottenere che la solidarietà fosse calcolata sul 100% dello stipendio e non su quello ridotto che già prendevamo. Il Cdr a questa richiesta rispose che non era il caso di convocare un’assemblea. Alla Frascina che mi contattò, dopo che io avevo parlato con la La Forge, dissi le stesse cose, cioè ribadii il fatto che l’azienda doveva affrontare il problema degli stipendi ridotti unilateralmente. io avevo ricevuto molte lamentele da parte dei colleghi. La Frascina mi chiese in più occasioni di fare i nomi dei colleghi che si lamentavano. La Frascina mi chiese di fare i nomi anche in presenza del vice direttore Vittorio Oreggia. L’azienda bloccò trasferte, ferie e permessi. Io e il Cdr ci siamo poi trovati d’accordo per convocare un’assemblea riguardante il tema dell’elezione di un nuovo componente del Cdr per la redazione di Milano e per discutere di questa vicenda delle retribuzioni (…) Io in assemblea ho fatto presente le ragioni che mi avevano portato ad avanzare le richieste nei confronti dell’azienda ed al termine di questa esposizione a mia insaputa è stato proposto un testo di dissociazione dalla mia iniziativa che aveva ad oggetto il rispetto del contratto collettivo. La maggioranza dei miei colleghi si è dissociato dalla mia posizione”.

La e-mail inviata da Michela Frascina (responsabile del personale di LaPresse) ad Antonio Di Rosa (direttore), Vittorio Oreggia (vicedirettore), Riccardo Bormioli, Donatella Di Nitto, Antonio Martelli e Lorenzo Allegrini (componenti del Cdr), e inviata per conoscenza all’AD Marco Durante ed al Pellissier stesso il 3/5/2016, conferma quanto riferito da quest’ultimo in sede di deposizione testimoniale: “Premetto che è stata la stessa responsabile amministrativa, sig.ra La Forge, a riferirmi di alcune questioni che il sig. Pellissier pochi minuti prima le ha posto e per alcune delle quali ha ritenuto demandare alla sottoscritta poiché non di sua competenza. Ho chiamato personalmente il sig. Pellissier precisando anzitutto che non è persona delegata a porre simili questioni all’azienda, perlopiù ad un’altra collega. E’ doveroso da parte mia rappresentare i punti salienti di quanto ho appreso dal sig. Pellissier durante il colloquio telefonico:

1- Malcontento generale dei colleghi ed in particolare delle sedi di Roma e Milano, malcontento generato dal divario retributivo tra i colleghi che recentemente abbiamo inglobato nella nostra realtà (AGA e AGR) e i colleghi ‘storici’ di LaPresse. In particolare, mi riferisce che la sede romana è demotivata e stanca. Ovviamente ho chiesto al sig. Pellissier di fare nomi e cognomi poiché fino a quel momento non avevo raccolto lamentele alcune né da parte dei Direttori con i quali ho rapporti quotidiani né da parte del Cdr. Il sig. Pellissier si è rifiutato di fare nomi e cognomi facendosi portavoce lui stesso dei colleghi.

2- Disconoscimento da parte di tutti i colleghi degli accordi sindacali fatti in questi anni.

3- Il sig. Pellissier ha aggiunto infine che il Cdr avrebbe di lì a poche ore, convocato un’assemblea per discutere oltre all’integrazione del rappresentante della sede milanese, delle questioni che mi riferiva (…) A fronte di quanto accaduto vi informo che LaPresse sta valutando la posizione da adottare nei confronti del sig. Pellissier e vi confermo la disposizione odierna del Presidente che blocca tutte le trasferte dei giornalisti e ogni investimento diretto all’area giornalistica. Invito il sig. Pellissier ad un confronto insieme alla sig.ra La Forge giovedì 5 maggio alle ore 12.00 presso la nostra sede torinese”.

La persuasività degli argomenti prospettati da LaPresse nei confronti del rappresentante sindacale reo di essersi interessato di questioni retributive, e pesantemente pressato affinché facesse i nomi dei colleghi del cui malcontento si faceva portavoce, è dimostrata dal repentino cambio di atteggiamento dello stesso Pellissier, che nella lettera 3/5/2016 prodotta quale doc. 31 da parte convenuta si rivolge all’amministratore delegato proclamando amore incondizionato per l’azienda, prendendo atto dell’infondatezza delle voci sulle disparità retributive pervenutegli, e riferendosi alla conversazione con la dottoressa Frascina quale occasione per “chiarirsi le idee” in merito alla bontà della “ricetta” aziendale, che comportava la rinuncia da parte dei lavoratori a “molte clausole economiche previste nel contratto”.

E’ del giorno successivo (4/5/2016) la comunicazione e-mail inviata da Frascina a tutti i dipendenti (doc. 10 di parte ricorrente) con cui comunica che “a partire dalla data odierna, per sopravvenute esigenze valutate dalla società, sono momentaneamente sospese le richieste di ferie e permessi”.

Il clima intimidatorio emergente dai documenti esaminati è confermato anche dalla deposizione del teste De Ponte, giornalista presso la convenuta e già componente del comitato di redazione in anni precedenti: il teste ha descritto le circostanze in cui il Pellissier aveva sollevato il problema del mancato pagamento delle maggiorazioni previste dal C.C.N.L., riferendo della richiesta del direttore Di Rosa al Cdr di dissociarsi; afferma il teste: “la discussione fu molto accesa, io non ero d’accordo con l’idea di dissociarmi dalla posizione del Pellissier in quanto ritenevo che ciò che contava erano le tematiche sollevate da lui. Per evitare contrasti con l’azienda, i colleghi torinesi hanno ceduto più velocemente. I colleghi hanno cioè ritenuto che, pur essendo legittimo quanto rivendicato da Pellissier, quello non era il modo opportuno conoscendo le possibili reazioni dell’azienda. In questi casi, ed è già successo, l’azienda minaccia chiusura della sede o contratti di solidarietà”; il teste ha riferito di un episodio risalente, in cui l’azienda aveva minacciato licenziamenti se i lavoratori non avessero aderito ad una circolare contrastante con il contratto in tema di permesso per pausa sigaretta, “per spiegare che a Torino, in considerazione di quanto accaduto nel passato, i colleghi intendono cedere più rapidamente”; con riferimento alla richiesta di LaPresse di sottoscrivere l’accordo individuale che prevedeva la forfettizzazione del pagamento della somma di € 100 a fronte della rinuncia ad alcune voci di contratto ben più sostanziose, il teste ha dichiarato: “la decisione fu di dissociarsi dalle modalità con cui il collega Pellissier aveva avanzato le sue rivendicazioni. Io ho saputo che il Pellissier si era lamentato con la segretaria Monica La Forge del mancato pagamento di alcuni emolumenti. Io avevo fatto notare che non c’era nulla di ufficiale nella presa di posizione del Pellissier. Restava però il fatto che dopo l’intervento del Pellissier erano stati bloccati ferie, permessi e trasferte. L’azienda convocò poi il Cdr successivamente e il Cdr disse alla redazione che c’era un accordo sulle domeniche (…) Mi dissero che a Torino già diversi colleghi avevano firmato questo accordo. Io chiamai Antonio Martelli, altro collega del Cdr, e chiesi perché non si era fatta un’assemblea per decidere queste questioni (…) Martelli mi disse che non c’era tempo per fare un’assemblea perché questa questione andava fermata quel giorno stesso. Mi disse inoltre che chi non firmava l’accordo si sarebbe assunto le sue responsabilità. Io gli chiesi che cosa voleva dire e lui mi disse che evidentemente ci sarebbero state delle conseguenze, non da parte sua ma da parte dell’azienda”.

La stretta consequenzialità tra le indubbiamente legittime rivendicazioni del dirigente sindacale Pellissier e le misure di pressione (e repressione) immediatamente adottate dall’azienda tramite blocco di ferie, permessi e trasferte non è affatto negata dalla società convenuta, ed è documentale provato (cfr. doc. 17 di parte ricorrente) che solo dopo la firma dell’accordo richiesto dall’azienda per la forfettizzazione in misura notevolmente ridotta delle maggiorazioni contrattuali, LaPresse ha provveduto a sbloccare ferie, permessi e trasferte invitando i dipendenti a presentare il piano ferie per il 2016 entro 10 giorni.

Il fatto che tali misure (di evidente natura ritorsiva e intimidatoria, così come le minacce di prendere provvedimenti nei confronti di Pellissier) fossero rientrate al momento della proposizione del ricorso non vale a consentire di ritenere la condotta censurata priva di attualità. Deve farsi applicazione dei principi dettati da Cass. Civ., sez. lav., 26/02/2016, n. 3837, secondo cui in tema di repressione della condotta antisindacale, ai sensi dell’art. 28 st.lav., il solo esaurirsi della singola azione lesiva del datore di lavoro non può precludere l’ordine del giudice di cessazione del comportamento illegittimo ove questo, alla stregua di una valutazione globale non limitata ai singoli episodi, risulti tuttora persistente e idoneo a produrre effetti durevoli nel tempo, sia per la sua portata intimidatoria, sia per la situazione di incertezza che ne consegue, suscettibile di determinare in qualche misura una restrizione o un ostacolo al libero esercizio dell’attività sindacale.

Nel caso in esame la revoca delle misure repressive non fa che confermare le loro finalità intimidatorie, certamente ancora idonee ad influenzare e condizionare per il futuro l’esercizio del diritto costituzionalmente garantito all’attività sindacale da parte dell’Associazione Stampa Subalpina. Deve pertanto essere dichiarata l’antisindacalità della condotta tenuta da LaPresse s.p.a. nel negare la legittimazione del dirigente sindacale Jan Pellissier ad interessarsi delle retribuzioni dei colleghi, e conseguentemente nel reagire prospettandogli provvedimenti disciplinari, bloccando ferie, permessi e trasferte, e ogni investimento diretto all’area giornalistica.

3-4) Per quanto riguarda le ulteriori condotte censurate nel ricorso introduttivo, l’ordinanza impugnata merita piena conferma. L’Associazione Stampa Subalpina lamenta che controparte avrebbe diffuso la notizia secondo cui il mancato riconoscimento degli emolumenti previsti dagli articoli 10 e 19 del CCNL giornalistico sarebbe derivato da un accordo con il sindacato, richiamando in proposito le premesse dell’accordo 25/5/2016 prodotto quale doc. 15. In tale verbale formalmente riferito all’accordo sul piano aziendale di LaPresse si legge che le parti si sono incontrate “per fare il punto della situazione e aggiornare i precedenti accordi aziendali relativi agli istituti sotto indicati” e che “nel corso dell’incontro odierno le parti hanno, altresì, effettuato la ricognizione delle intese e accordi aziendali che sino ad oggi hanno disciplinato il rapporto di lavoro giornalistico a LaPresse S.p.A.”. Si tratta di un generico e vago accenno del tutto inidoneo a ledere l’immagine ed il prestigio dell’Associazione Stampa Subalpina presso gli iscritti, non essendo indicato alcun preciso accordo nella sua riferibilità non al Cdr bensì all’organizzazione sindacale: sul punto deve essere confermata la decisione opposta laddove rimarca come la ricorrente non abbia dimostrato che la convenuta abbia diffuso notizie false al fine di far ricadere sul sindacato la responsabilità del mancato pagamento di alcune voci retributive previste dal CCNL;

5) Infondata è la censura di antisindacalità sollevata dall’organizzazione ricorrente con riferimento alle modalità attraverso cui è stato sottoscritto il verbale d’accordo sul piano aziendale del 25/5/2016, sopra esaminato: l’Associazione Stampa Subalpina lamenta la lesione dei propri diritti e prerogative, sia ove lo si volesse qualificare accordo aziendale sia qualora se ne volesse ravvisare la natura di proposta economica condizionata all’adesione individuale di tutti i dipendenti, in quanto LaPresse avrebbe dovuto aprire un tavolo di confronto con il sindacato secondo le forme previste dal protocollo di consultazione sindacale contenuto nell’allegato D del CCNL, in presenza di una situazione di crisi da cui potevano derivare procedure di licenziamento collettivo o il ricorso ad altre forme di ammortizzatori sociali.

La scansione procedimentale che la ricorrente assume violata è prevista “nei casi di crisi aziendale per i quali l’azienda intenda anche richiedere l’applicazione delle norme di cui all’art. 35 della legge n. 416/1981” (ovvero il trattamento straordinario di integrazione salariale previsto dalla legge sull’editoria), e deve concordarsi con l’ordinanza oggetto di opposizione nella parte in cui esclude che la situazione sottostante al verbale di accordo 25/5/2016 integrasse i presupposti per il ricorso al confronto sindacale procedimentalizzato dal protocollo di consultazione sindacale di cui all’allegato D al CCNL.

6) L’associazione ricorrente censura inoltre la condotta della società convenuta consistita nella negoziazione diretta con i singoli lavoratori per ottenere il loro consenso ad un peggioramento del trattamento economico, affermando che ciò sia avvenuto rappresentando le intese individuali come un nuovo accordo sindacale che sarebbe stato avallato dall’organizzazione sindacale ricorrente. Si è già visto come non sia stato dimostrato, né sia ricavabile dal contenuto dell’accordo 25/5/2016, che il datore di lavoro abbia falsamente sostenuto di aver preventivamente concordato con il sindacato il contenuto delle intese individuali sottoposte all’approvazione dei singoli lavoratori. Va infatti tenuto nettamente distinto il comportamento imputabile al comitato di redazione, che non costituisce un’espressione dell’organizzazione sindacale ricorrente, rispetto a quanto attribuito all’organizzazione sindacale stessa, nei cui confronti non può essere rilevata alcuna affermazione di coinvolgimento da parte di LaPresse nella trattativa diretta con i singoli giornalisti per ottenerne il consenso alla riduzione del trattamento retributivo.

Anche sul punto l’ordinanza oggetto di opposizione merita piena conferma.

7) L’Associazione Stampa Subalpina lamenta inoltre che il demansionamento di Pellissier, al quale era stata revocata la qualifica di inviato, sarebbe stato posto in essere, nel quadro di attuazione delle minacce di provvedimenti paventate nel maggio 2016, al fine di colpire il lavoratore nella sua qualità di dirigente sindacale, con conseguente lesione delle prerogative dell’organizzazione rappresentata: conseguentemente viene richiesta la reintegrazione del Pellissier nel ruolo di inviato. Al momento della presente decisione risulta che il rapporto di lavoro tra Jean Philippe Pellissier e LaPresse è cessato, con conseguente venir meno dell’interesse alla pronuncia in merito a tale domanda, essendo divenuta impossibile l’attuazione di un eventuale provvedimento di ripristino della mansione.

Alla pronuncia di cessazione della materia del contendere sul punto deve tuttavia abbinarsi una sommaria valutazione della fondatezza della domanda stessa, ai fini della liquidazione delle spese per cui rileva il principio della c.d. soccombenza virtuale. In proposito deve osservarsi come parte ricorrente non contesti la effettività della riorganizzazione del lavoro conseguita all’apertura della sede milanese: Pellissier infatti era addetto alla sede di Torino e inviato a Milano, e tale posizione appare necessariamente rivedibile a seguito dell’apertura della sede milanese (nella quale lo stesso Pellissier, sentito come teste, ha dichiarato essere addetti, dalla primavera 2016, più di 20 giornalisti). I testi Di Rosa e Romaniello hanno inoltre dichiarato che al momento della deposizione testimoniale Pellissier era ancora in carica come inviato, percependo la relativa indennità.

La tesi della revoca dell’incarico come demansionamento diretto a colpire la qualità di dirigente sindacale del Pellissier non pare pertanto condivisibile, anche alla luce di quanto correttamente affermato nell’ordinanza qui opposta in merito alla non qualificabilità come demansionamento in senso giuridico della riduzione degli incarichi di inviato affidati a Pellissier a decorrere dal maggio-giugno 2016.

8) Quanto alla lamentata antisindacalità della minaccia (poi rientrata) di licenziamento del Pellissier, non pare ravvisabile l’affermato intento intimidatorio riferito alla sua attività di dirigente sindacale, in quanto i fatti oggetto della contestazione disciplinare sono successivi agli episodi sopradescritti, e soprattutto estranei, sotto ogni profilo, alle attività da lui poste in essere quale dirigente della organizzazione sindacale ricorrente.

9) Nel ricorso introduttivo si lamenta infine la violazione da parte di LaPresse delle intese raggiunte nel luglio 2016: si censurano in particolare la violazione da parte di LaPresse dell’intesa già raggiunta per evitare il deposito del ricorso ex art. 28 st.lav. già predisposto tramite l’impegno a congelare l’accordo 25/5/2016 non attuandolo nei confronti dei dipendenti, a sospendere il demansionamento del Pellissier attribuendogli il ruolo di inviato, ad aprire un tavolo di trattativa con il sindacato nel mese di settembre 2016.

Per quanto riferito dal teste Besana, membro della giunta esecutiva della FNSI, non pare si possa ravvisare una palese violazione agli accordi interlocutori solo informalmente raggiunti nel luglio 2016: “per un certo tasso di tempo la FNSI e la convenuta si sono parlati a distanza e il contrasto è stato solo mediatico, poi c’è stato un incontro, sia pure informale. Era il mese di luglio 2016 (…) Siamo rimasti d’accordo che ci saremmo rivisti a settembre e che nel frattempo l’azienda non avrebbe dato attuazione agli accordi, continuando però a non pagare gli emolumenti. Durante questi incontri abbiamo speso molto tempo a parlare della posizione del Pellissier che è un dirigente sindacale, di cui si era ipotizzato un demansionamento. (…) L’azienda si era dichiarata disponibile a sospendere fino a settembre i provvedimenti nei confronti del Pellissier. A settembre c’è stato un altro incontro con la convenuta (…) È vero che l’azienda era disponibile a proseguire il confronto in sede informale e che è stato tenuto un ulteriore incontro dopo il deposito del ricorso in data 19 ottobre (…) Ad ottobre 2016 è l’azienda che ha interrotto il negoziato dicendo che intendeva concludere un accordo di prossimità che la federazione escludeva categoricamente fin dall’inizio”.

È emerso infatti che LaPresse ha continuato a negoziare con le organizzazioni sindacali anche dopo il deposito del ricorso ex art. 28 (avvenuto il 7/10/2016), che l’applicazione dell’accordo 25/5/2016 è stata sospesa senza che l’azienda si fosse impegnata all’integrale pagamento degli emolumenti previsti dagli articoli 10 e 19 CCNL, che la riduzione degli incarichi di inviato a Pellissier non ne ha comportato la revoca della qualifica e dell’erogazione delle relative indennità: non pare pertanto ravvisabile alcuna lesione delle prerogative dell’organizzazione sindacale, che in ogni caso non potrebbe discendere oggettivamente, come condivisibilmente affermato nell’ordinanza impugnata, dalla mera violazione di un impegno assunto.

3. Le domande introdotte nella presente fase di giudizio. 

Nel ricorso in opposizione ex art. 28 st.lav. si dà conto dei fatti accaduti successivamente (non solo al deposito del ricorso introduttivo della prima fase, ma anche) alla pronuncia del decreto impugnato: in particolare la ricorrente lamenta che la società convenuta aveva comunicato al dirigente sindacale Pellissier la revoca anche formale della qualifica di inviato a partire dal 1/2/2017, e che il 17/1/2017 il Cdr aveva annunciato ai lavoratori l’applicazione a decorrere dal 1/2/2017 dell’accordo 25/5/2016, già oggetto di congelamento su accordo tra le parti. Nelle conclusioni del ricorso in opposizione l’Associazione Stampa Subalpina inserisce altresì le domande di dichiarazione di nullità, inefficacia e disapplicazione dell’accordo 25/5/2016, e di dichiarazione di nullità della revoca dell’incarico al dirigente Pellissier.

La società convenuta ha eccepito l’inammissibilità delle due domande nuove introdotte con il ricorso in opposizione, eccezione che risulta accoglibile (con riferimento alla domanda relativa all’accordo, essendo quella riferita all’incarico di inviato a Pellissier priva di attuale interesse) alla luce dei principi dettati dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (sent. 24/9/2010 n. 20161) di cui si riporta la massima: Deve in proposito considerarsi che, pur trattandosi di un giudizio di cognizione di primo grado, il giudizio di opposizione al decreto ex art. 28 Stat. lav., che la parte può proporre ai sensi del comma 3 della medesima disposizione innanzi allo stesso tribunale nel termine di quindici giorni dalla comunicazione del decreto alle parti, ha comunque contenuto impugnatorio perché l’atto introduttivo è costituito dall’opposizione al decreto (talché scatta l’obbligo di astensione del giudice per aver conosciuto della causa in un “altro grado” ex art. 51 c.p.c., n. 1, come ritenuto da C. cost. n. 387 del 1999). In mancanza di una disciplina specifica del giudizio di opposizione, per il quale l’art. 28 si limita – come già rilevato – ad un generale richiamo della disciplina del giudizio di primo grado, occorre comunque considerare i principi enucleabili dalla disciplina delle impugnazioni in generale (artt. 323 ss.) per integrare, nei limiti della compatibilità, la prima, conformandola alla sua particolare natura di giudizio di primo grado, introdotto però con un atto di opposizione.

Non può che derivarne l’inammissibilità dell’introduzione di domande relative ad asserite condotte antisindacali non vagliate nella prima fase del giudizio.

4. Conclusioni.

L’accoglimento parziale dell’opposizione, ed il riconoscimento della natura antisindacale di condotte che, sia pur cessate nella loro concretezza, sono tuttora idonee di produrre effetti pregiudizievoli per la libera esplicazione dell’attività sindacale in ragione della loro portata intimidatoria, comporta la necessità – al fine della rimozione degli effetti delle condotte riconosciute come antisindacali – della affissione della presente sentenza nelle bacheche e nel sito internet aziendale, a cura della convenuta, per almeno 30 giorni. Le spese di entrambe le fasi del giudizio, liquidate nella misura indicata in dispositivo (per la prima fase in applicazione delle tabelle per il rito sommario cautelare, per la seconda in applicazione delle tabelle per il rito ordinario di merito), debbono essere poste per due terzi a carico della società convenuta, con compensazione tra le parti per la restante misura di un terzo in ragione della reciproca soccombenza; non vi sono oneri di spesa per la FNSI, non costituitasi nella presente fase.

P.Q.M. 

Visto l’art. 429 c.p.c., definitivamente pronunciando, respinta ogni altra domanda, istanza, eccezione e deduzione:

– accerta l’antisindacalità della condotta tenuta da LaPresse s.p.a. nel negare la legittimazione del dirigente sindacale Jan Pellissier ad interessarsi delle retribuzioni dei colleghi, e conseguentemente nel reagire prospettandogli provvedimenti disciplinari, bloccando ferie, permessi e trasferte, e ogni investimento diretto all’area giornalistica;

– dichiara cessata la materia del contendere in merito alla domanda di reintegrazione di Jan Pellissier nelle mansioni di inviato;

– dichiara inammissibile la domanda relativa alla nullità, inefficacia o disapplicazione dell’accordo 25/5/2016;

– respinge per il resto il ricorso;

–  ordina a parte convenuta di affiggere la presente sentenza nelle bacheche aziendali e di pubblicarla nel sito internet aziendale per almeno 30 giorni;

– liquida le spese sostenute dall’Associazione Stampa Subalpina in complessivi € 5.535,00 oltre rimborso spese generali 15%, CPA e IVA e successive   occorrende per la prima fase del giudizio, ed in complessivi € 7.025,00 oltre rimborso spese generali 15%, CPA e IVA per la fase di opposizione;

– compensa tra le parti le spese di lite di entrambe le fasi del giudizio nella misura di un terzo, e condanna parte convenuta al pagamento alla ricorrente delle predette spese nella misura di due terzi.  Motivazione entro 60 giorni.

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