Marco Lillo, perquisito per aver raccontato i fatti: sembra proprio un’intimidazione

Speciale per Senza Bavaglio
Costanza Troini
Roma, 5 luglio 2017

Alla fine, dopo un libro (Di Padre in Figlio uscito il 18 maggio scorso) e una serie di articoli sul caso CONSIP, arriva la perquisizione per Marco Lillo, della sua abitazione di Roma e soprattutto dei suoi dispositivi elettronici, cellulari, computer etc. La Guardia di Finanza si è mossa su ordine della procura napoletana che sospetta una fuga di notizie con violazione del segreto d’ufficio.

Marco Lillo, giornalista

Ufficialmente l’operazione non scatta in seguito diretto alle ormai note indagini che hanno coinvolto in questi giorni il giornalista del Fatto Quotidiano e la collega Federica Sciarelli, ma a causa della denuncia-querela presentata dai legali di Alfredo Romeo, che proprio del caso CONSIP è uno dei protagonisti. A questo proposito bisogna precisare che Lillo non è indagato.

Stando all’analisi del Fatto Quotidiano, gli investigatori sanno bene che cosa cercare: le tracce informatiche che provano in che modo il giornalista si è procurato notizie contenute dell’informativa del Noe del 9 gennaio scorso e altri documenti relativi al caso CONSIP, in particolare la conversazione telefonica tra Matteo Renzi e suo padre Tiziano, poi rivelata nel libro Di Padre in Figlio.

Marco Lillo, in vacanza in provicia di Cosenza, si è recato nella caserma “Pucciani” della Guardia di Finanza a consegnare il proprio cellulare. “Sono due le cose che noto – ci conferma al nuovo telefono (appena ricomprato!) lo stesso Lillo – Una è che ci sono due telefonini, quello della collega Sciarelli e il mio, che possono essere scandagliati dalle procure di Roma e di Napoli per violazione di segreto d’ufficio. Due, è che c’è un terzo telefonino, quello di Tiziano Renzi, già accusato di traffico illecito d’influenze che invece non è stato toccato. Infine noto che l’informativa del 9 gennaio per la quale sono arrivati i finanzieri a casa mia a Roma e nell’ufficio del Fatto, è un’informativa che era in possesso dei grandi giornali italiani dal giorno prima di quando l’ho avuta io, ma la perquisizione viene eseguita a carico dell’autore del libro Di Padre in Figlio e solo nei miei confronti”.

Le indagini per individuare le fonti di un giornalista sono vietate dalla legge sull’Ordine professionale. Una norma importante perché permette di scoprire fatti e notizie che altrimenti resterebbero riservate. Perché poi gli inquirenti si muovano solo adesso, non è chiaro, anche se formalmente la denuncia di Alfredo Romeo è recente. Resta il fatto che la perquisizione al collega, cui va tutta la solidarietà di Senza Bavaglio, ha il sapore di un’intimidazione. E le intimidazioni di questo genere non sono compatibili con la libertà di stampa e quindi con la democrazia.

Costanza Troini
Senza Bavaglio
ctroini@gmail.com

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