Produttività in calo costante, ecco il nocciolo dell’italica questione

glatorre I gessetti di Sylos Labini
Giovanni La Torre
Roma, 10 maggio 2017

In Italia il problema della disoccupazione è sempre stato in cima alle preoccupazioni della politica, almeno a parole, ma da un certo momento in poi è stato affrontato in maniera sbagliata, con provvedimenti contenenti la presunzione di risolvere la questione affrontandola “direttamente”.

Romano Prodi, presidente del Consiglio dei ministri per due volte, dal 1996 al 1998 e dal 2006 al 2008.

Si è cominciato con la fiscalizzazione degli oneri sociali, nell’intesa che riducendo gli oneri a carico delle imprese sarebbero aumentate le assunzioni. Lo stesso governo Prodi due soggiacque all’illusione intervenendo sul famoso “cuneo fiscale”. Gli esiti furono sempre nulli e si risolsero tutte le volte in un mero regalo alle imprese.

Poi venne la volta della riforma del mercato del lavoro. Si diceva che la colpa del basso livello dell’occupazione era della rigidità del mercato del lavoro; che se un’impresa assumeva una persona se lo doveva tenere per tutta la vita, e quindi … E allora giù con la legge Treu, poi la Biagi e infine il jobs act, in quest’ultimo caso con connesso regalo alle imprese che assumevano. Risultato: nullo anche in questo caso (si veda il “gessetto” del 3/1/16), salvo copiosi regali alle imprese senza contropartite di nessun tipo.

Penso che quanto già detto dovrebbe essere più che sufficiente per capire che il problema dell’occupazione non si risolve regalando soldi alle imprese, e comunque affrontandolo in maniera diretta, ma solo creando le condizioni perché aumenti spontaneamente.

L’economista britannico John Maynard Keynes (Cambridge, 5 giugno 1883 – Tilton, 21 aprile 1946).

Lo stesso Keynes, il quale era ossessionato dal problema della piena occupazione, non ha mai suggerito di regalare soldi alle imprese che assumevano e meno che mai di ridurre i salari, anzi riteneva quest’ultimo provvedimento addirittura dannoso. Lui diceva che bisognava sostenere la “domanda aggregata”, perché l’unico incentivo ad assumere è il sapere che la produzione che ne deriverà verrà venduta. La domanda aggregata è formata da consumi e investimenti e Keynes era convinto che fossero soprattutto i secondi a provocare un moltiplicatore del reddito più sostenuto. La sua idea di far intervenire lo Stato era da considerarsi come ultima ratio, qualora le forze private fossero latitanti o comunque insufficienti.

Ora, è indubbio che in era di globalizzazione diventa problematico svolgere una sostenuta politica di rilancio della domanda di tipo keynesiano in un solo stato, soprattutto quando c’è un altro stato, la Germania, che fa da spugna per tutto il continente.

L’ex presidente del Consiglio e segretario nazionale del Partito Democratico Matteo Renzi.

Questa è una questione fondata, e che andrebbe portata nelle sedi opportune, ma in modo ufficiale ponendole all’ordine del giorno di riunioni e non affermandola solo davanti ai microfoni e alle telecamere come ha fatto il nostro Renzi. Si tratta di affermare il principio che se non è possibile il “keynesismo in un solo paese” è ancora meno plausibile l’ “austerità in tutti i paesi”, e comunque ci sono precise clausole dei trattati che imporrebbero un riequilibrio, come abbiamo scritto tante volte.

Ma in attesa che arrivi qualche governante che prenda veramente di petto e con gli strumenti giusti la questione, e non solo per spot pubblicitari, dobbiamo pensare a quello che possiamo fare per risolvere i problemi specifici nostri, perché c’è una questione che pesa come un macigno sul nostro presente e sul nostro futuro economico, e che comunque deve essere affrontata anche in caso di ripresa della domanda: la questione della produttività.

Come ho scritto alte volte, l’Italia è l’unico paese dell’Ocse dove la produttività da più di vent’anni non solo è in calo, ma che la sua variazione è stata addirittura negativa negli ultimi anni. Cioè mentre tutti correvano, noi non solo non riuscivamo a tenere il passo, ma addirittura camminavamo all’indietro. Ci pensate? A questo proposito i dati elaborati dalle ricerche serie dicono che è il “capitale” a essere stato latitante, non il lavoro.

Di fronte a questa situazione tragica, sentite mai qualche politico che ponga la questione all’ordine del giorno? A me non risulta. I nostri politici sono bravi a parlare di leggi elettorali, di alleanze, di politichese o, nelle riunioni riservate, di appalti e tangenti, ma chiedete loro di affrontare una questione che attiene allo sviluppo del paese, farebbero scena muta, o al massimo che “bisogna sostenere le piccole imprese”, cioè perpetuare il nanismo imprenditoriale attuale.

Cosa bisognerebbe fare?

Giovanni La Torre

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