Vince il blocco sociale di chi è in difficoltà, del ceto medio disagiato, dei giovani senza lavoro

Vanna Palumbo
Roma, 5 dicembre 2016

Mai infierire sui perdenti.… E qui certo non avverrà.  A Renzi, che ha straperso la prova più importante della sua vita politica – come lui stesso l’aveva ribattezzata più volte – va dato l’onore delle armi! Si è battuto come un leone con tutti i mezzi, dai più legittimi ai più discutibili. Ma la sconfitta della sua riforma costituzionale è schiacciante. Nelle proporzioni come nei numeri assoluti, con l’inattesa corsa ai seggi.

La certezza su chi ha perso la sfida più combattuta sulla Carta fondamentale – per ciò stesso esiziale per il governo – non ci consegna però un profilo riconoscibile della forza politica che ha vinto questa grande prova democratica. Complicato individuare il “the winner is” del composito fronte del NO che possa a ragione intestarsi una vittoria così significativa di consenso e di partecipazione.la-firma-delle-costituzione

Mentre è certamente più chiaro il blocco sociale che ha decretato un cosi pesante rigetto del progetto di riforma, tanto da far parlare qualche autorevole editorialista di “popolo in rivolta”. Un blocco sociale fatto di famiglie in difficoltà, di un ceto medio sempre più disagiato che arranca malamente ed inutilmente per mantenere la posizione, di giovani senza lavoro e con scarse possibilità di trovarlo, di sfiduciati nel futuro e nel cambiamento necessario – che non è quello della costituzione formale – costretti dagli eventi a rinunciare ad ogni progetto di vita, persino spesso quello di generare.

“Non pensavo di essere tanto odiato… “ avrebbe detto il Presidente del Consiglio subito dopo la botta. Ed infatti non si tratta di questo. Renzi farebbe bene – o meglio, avrebbe fatto bene – a considerare che la fiducia riposta in lui con la vittoria delle (seconde) primarie, e con l’avanzata europea di due anni e mezzo fa (oramai un pallido ricordo) trovava fondamento in quella promessa di cambiamento in senso progressista, libertario, riformista che altri in passato avevano deluso e che invece lui diceva di voler incarnare.

costituzione-prime-righe

Troppe però le prove concessegli e rimaste senza risultato. La più importante quella del lavoro, affidata alle cure di un leader che sembrava volerla affrontare dal “corno” giusto e che invece, con il Jobs Act, ha reiterato l’errore di sempre: quello di puntare sull’ingordigia dell’impresa (quante quelle editoriali che hanno stabilizzato qualche precario?), avida di “contributi” e taccagna di assunzioni stabili.

Parliamo di lavoro e non tanto e non solo di reddito. Cioè di quello che attribuisce un ruolo sociale, identità, dignità, come ben sanno i giovani colleghi che si piegano a scrivere senza compenso pur di avere almeno un impegno riconoscibile, anche quando non riconosciuto.

Il tutto in un contrasto troppo stridente, e con uno scarto troppo vasto, fra ciò che la “gente” vive ogni giorno in questo Paese e la fantasiosa raffigurazione magnificante della realtà ad opera del premier e della sua “corte” adorante che noi giornalisti chiamiamo, per carità di patria, compagine di governo.

Ora la palla passa a Mattarella. Un presidente discreto, sì, ma cui non sfugge questo delicatissimo passaggio della nostra storia repubblicana. La ponderosa e corale risposta di popolo, rimasto perciò intestatario della sovranità nazionale, (art. 1 Cost.) guiderà la coscienza del nostro Capo di Stato nella scelta del “dopo”. Che non sarà un salto nel buio. Che non è solo un dopo Renzi. Anzi forse non lo è affatto.

Il presidente della Rapubblica, Sergio Mattarella
Il presidente della Rapubblica, Sergio Mattarella

È certamente in campo l’ipotesi di affidare a lui un nuovo incarico. Chissà, magari l’ex boy scout – che, a quanto pare, non aveva neanche preso in considerazione l’ipotesi della sconfitta – potrebbe accettare di “esplorare” una nuova possibilità?  Il suo gusto per la sfida potrebbe tentarlo. Anche se, al momento, pare ossessionato soltanto dal dimettersi da tutto. Anche dal Pd, in vivace fermento per la direzione di dopodomani (mercoledì 7 dicembre).

Chiunque sarà chiamato a gestire la transizione prima delle elezioni politiche – che, a questo punto, sono più prossime all’orizzonte, avrà comunque ed innanzitutto il compito di rendere esigibile la revisione dell’Italicum, la riforma elettorale divenuta inevitabile anche per il suo padre legittimo, D’Alimonte.

Un test che può dare impulso ad un maggiore attivismo parlamentare, palesemente mortificato dal dispotismo governativo degli ultimi anni e dalla pretesa, battuta dal voto di ieri, di varare una riforma costituzionale di parte.

Con quali partiti a collaborare lo vedremo. Sicuramente non con quello della “nazione”!

Vanna Palumbo

Condividi questo articolo