Gli affari all’italiana di Affari Italiani

Tra le tante crisi aziendali ce n’è una di cui si sa pochissimo e si parla ancor meno. Quella di Affaritaliani.it, il quotidiano digitale fondato e diretto da Angelo Maria Perrino, che per festeggiare il ventesimo anno di vita della sua creazione nel libero web, oltre a lanciare, proprio in questi giorni, nuove sezioni in pompa magna (come la neonata “Palazzi e poteri” o quella dedicata ai blog che si stanno moltiplicando), qualche mese fa, ha deciso di liberarsi di 8 redattori su 11.

L’idea pare sia stata definita dallo stesso direttore-editore (che è in pensione e risulta essere un collaboratore della Uomini e Affari Srl, la quale può così vantare di aver creato la figura mitologica del collaboratore-direttore-editore) e dal suo braccio destro, l’amministratore delegato Luca Greco, che da tempo a chiunque lo interroghi non fa mistero circa il piano di rinascita del quotidiano: tre, massimo quattro giornalisti assunti, a gestire un esercito di stagisti e collaboratori a partita Iva. Tutti gli altri “a casa”, senza le spettanze dovute ma con la promessa, per ovvie ragioni mai messa per iscritto, di una collaborazione biennale da circa 800 euro al mese.

E, a riprova del piano che pare alquanto forzato per questo sito targato Greco -Perrino, circa due mesi fa è comparso un tweet, prontamente eliminato vista la pioggia di insulti successiva, che cercava blogger disposti a collaborare con Affaritaliani.it in cambio di… visibilità. Ma il progetto, a quanto pare, per quanto mai dichiarato ufficialmente, si è scontrato con le barriere sindacali e ha cambiato rotta. La soluzione raggiunta, dopo una lunga trattativa in sede sindacale in cui Cdr e rappresentati di Alg e Fnsi hanno portato i vertici dell azienda a più miti consigli, risulta essere stata la cassa integrazione straordinaria a partire dallo scorso primo febbraio.

I redattori intanto, dopo un anno di contratti di solidarietà e due della precedente, durissima, cassa integrazione, tre mesi fa si sono sentiti prima annunciare licenziamenti collettivi e poi sono stati oggetto di un serrato pressing da parte dei vertici dell’azienda per una soluzione amichevole della questione.

A fronte dei no ricevuti, l’azienda ha messo in atto decise azioni di mobbing che hanno portato al licenziamento di un collega, minacciato di una causa legale inesistente, e all’esasperazione del resto della redazione, chiamata anche e ancora di più a lavorare con ritmi no stop (reperibilità su 24 ore) a fronte di uno stipendio irrisorio. Chi si sottrae? Lettera di richiamo e minaccia di licenziamento per giusta causa.

Senza Bavaglio

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