Non mi preoccupa tanto che perda, ma che si voglia rifare

E’ nota la battuta amara del padre che vede il figlio perdere al tavolo da poker. Mi è venuta in mente dopo la conferenza stampa del presidente della Bce Mario Draghi. L’ex Goldman Sachs ha ammesso che le previsioni economiche per la zona euro sono meno rosee di quelle fatte in precedenza, che l’inflazione è piatta che più piatta non si può, e questo dopo diversi mesi dall’avvio del famoso Quantitative Easing (QE) che avrebbe dovuto, per contro, smuovere il mondo intero economico a detta degli adulatori del Mario nazionale.

Dopo questa esperienza un banchiere centrale serio, che ha a cuore veramente le sorti dell’economia reale e non solo quella delle banche (o meglio, dei dirigenti bancari) e degli speculatori del mercato mobiliare, cosa avrebbe fatto? Avrebbe indetto lo stesso la conferenza stampa e dichiarato: “cari signori, la politica monetaria non è servita a nulla, la Bce non può fare altro, invito allora i governi e le imprese a mettere mano al portafoglio e rilanciare l’economia con provvedimenti ‘reali’, altrimenti da questa situazione non se ne esce. Invito pertanto i paesi cosiddetti virtuosi e quelli con forti surplus commerciali con l’estero a fare il loro dovere. Se questo non verrà fatto a partire già dalle prossime settimane prenderò seriamente in considerazione l’ipotesi di mie dimissioni”. Questo avrebbe dovuto dire Draghi.

Invece cosa ha detto? Ha detto che intensificherà il programma di QE e lo protrarrà ancora più a lungo. Proprio come il figliolo vizioso che si “vuole rifare” al tavolo da gioco.

Questa inondazione di moneta, come abbiamo detto altre volte, serve solo a sostenere artificialmente i corsi di borsa e i valori mobiliari in generale, e la misura è giusta quando si ha la fondata aspettativa che la sottotante economia reale si riprenderà abbastanza presto, perché in tal modo i valori di borsa e quelli reali coincideranno a breve. Ma se l’economia reale è cronicamente asfittica per insufficienza cronica di domanda, il lago di moneta serve solo alla speculazione finanziaria, e a tenere artificialmente alti i corsi di borsa con il rischio concreto che arrivi il momento in cui la bolla esplode e a pagare saremo ancora una volta tutti, salvo gli speculatori e i banchieri che avranno già incassato i loro bonus.

Alle imprese, di quella valanga di moneta non ne arriva neanche l’ombra e questo perché non vi sono programmi di investimento seri, al di là della volontà delle banche, e questo a sua volta perché le imprese non saprebbero a chi vendere la produzione incrementale. Né vale come incentivo, nell’attuale situazione, il fatto che il costo del denaro sia prossimo allo zero, perché comunque la redditività attesa (efficienza marginale del capitale) di un investimento è negativa, quindi inferiore a zero.

Ma può darsi che a Draghi interessi solo quello, che l’unica sua preoccupazione sia proprio quella di sostenere i suoi amici speculatori, visto che è quello l’ambiente da cui proviene. Anche perché il mandato alla Bce prima o poi finirà e i suoi amichetti e colleghi senz’altro lo gratificheranno con consulenze milionarie come segno di gratitudine per quello che sta facendo.

Ovviamente i giornali, che avevano osannato con titoli a piena pagina il “bazooka di Draghi”, hanno relegato la notizia del suo fallimento in posti meno evidenti.

Draghi accredita sovente la storia di essere stato allievo di Caffè per farsi un’immagine che non corrisponde affatto a quella che emerge dalla sua azione concreta e dal suo curriculum. Per esempio Caffè era un keynesiano e per un keynesiano la politica monetaria è un ottimo coadiuvante nella cura ricostituente, ma mai arriverebbe a pensare che possa essere l’unico strumento per risollevare un’economia cronicamente asfittica per assenza di domanda.

Alla fine del capitolo XII della sua Teoria Generale dell’Occupazione, dell’Interesse e della Moneta, Keynes scriveva il “saggio d’interesse … esercita, almeno in circostanze normali, un’influenza notevole benché non decisiva sull’ammontare dell’investimento per unità di tempo … Per mio conto, sono alquanto SCETTICO sulle possibilità di successo di una politica esclusivamente monetaria intesa a influire sul saggio di interesse”. Scriveva nella stessa pagina (con più convinzione), sempre riferito ai momenti negativi: “vorrei vedere che lo stato … si assumesse una sempre maggiore responsabilità nell’organizzare direttamente l’investimento”, che tradotto nell’attuale situazione dell’eurozona, significa che i paesi che hanno spazio nei propri bilanci, nonché la stessa Ue, devono avviare seri programmi di investimento. Keynes indica poi la via maestra (perché anche la spesa pubblica è un ripiego) per agevolare la formazione di capitale produttivo in periodi di crisi all’inizio del capitolo XXIV, laddove scrive: “le misure per la redistribuzione dei redditi in modo da accrescere presumibilmente la propensione a consumare possono dimostrarsi positivamente favorevoli all’aumento del capitale … un aumento della propensione abituale a consumare servirà in generale (ossia salvo che in condizioni di occupazione piena) ad elevare nello stesso tempo l’incentivo a investire”.

Questo doveva dire Draghi nella conferenza stampa se veramente è stato allievo di Caffè e se non si preoccupa delle consulenze che avrà nei prossimi anni.

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