Ma Giavazzi legge i “gessetti”?

Su lavoce.info del 2 settembre è inaspettatamente uscito un articolo a firma di Giavazzi e Tabellini, bocconiani neoliberisti doc, che riprende la tesi principale che io sostengo, finora mi pare abbastanza isolatamente, che la politica monetaria espansiva (quantitative easing – QE) che viene invocata da tutti contro la deflazione, se non accompagnata da una politica fiscale altrettanto espansiva è del tutto ininfluente. E suggeriscono di accompagnarla, udite udite, con una aumento dei deficit pubblici degli stati europei; deficit che dovrebbero essere coperti dalla Bce sottoscrivendo titoli trentennali emessi dagli stati. Così si salderebbe politica fiscale e espansione monetaria.

I due economisti partono dalla (finalmente) giusta diagnosi che il problema principale nell’attuale crisi è la “mancanza di domanda aggregata” e che quindi è soprattutto questa l’urgenza cui rimediare.

Cosa dire di questa svolta dei neoliberisti? Deo gratias, meglio tardi che mai, come prima cosa, e speriamo che lo capiscano finalmente anche gli altri come seconda.

Però la loro estrazione neoliberista riemerge subito quando si legge attraverso quale via perseguire l’aumento del deficit. Essi infatti, quasi a voler tranquillizzare i sodali e scongiurare il rischio di passare per “traditori”, suggeriscono un taglio drastico  delle tasse (dell’ordine circa del 5% del Pil) e non un aumento della spesa pubblica. Eh sì, perché per loro le decisioni dei privati (beneficiari della riduzione delle tasse) sono più razionali ed efficienti di quelle del pubblico, dato che sono decisioni che passano il vaglio del dio mercato.

Dimenticano costoro che la crisi è stata provocata proprio dai privati e dall’irrazionalità del mercato, solo i giochi di prestigio dialettici hanno cercato di attribuirla al debito pubblico. Lo stesso Tabellini in un intervento sul Sole24ore all’indomani dello scoppio della crisi, al fine di minimizzarne i termini, disse che la stessa era dovuta a “un banale errore di valutazione” del mercato stesso e di chi vi opera. Pensate un po’ come è efficiente e razionale questo mercato se basta un “banale errore di valutazione” per provocare disastri come l’attuale crisi che ormai dura da sette anni.

Non si capisce allora perché quella quota di Pil dovrebbe andare ai privati, come taglio alle tasse, e non farlo spendere dal pubblico con finanziamenti alla ricerca e all’istruzione e con opere di largo respiro. Anche perché siamo certi che quei soldi nelle mani dei privati verrebbero subito rimessi in circolo attraverso i consumi e gli investimenti? O piuttosto non prenderebbero in buona parte la strada dei paradisi fiscali e della speculazione finanziaria?

Comunque in questa fase accontentiamoci che anche i neoliberisti siano arrivati alla conclusione che il problema vero e urgente è il rilancio della domanda, e non il pareggio di bilancio e la competitività; rallegriamoci che sono state accantonate bubbole come l’ “austerità espansiva”, e che si sia capito che il QE ha senso solo se accompagna il predetto rilancio altrimenti è inutile, anzi dannoso aggiunge il sottoscritto. Anche se non nutriamo eccessivo ottimismo: per esempio perché questo articolo “rivoluzionario” non è apparso sul Corriere o sul Sole24ore, dove normalmente i due economisti scrivono? … Chissà!

Certo, di questo passo si rischia che con il tempo la pensino tutti secondo i “gessetti”, e allora comincio a temere il famoso aforisma di Wilde: “quando vedo che tutti mi danno ragione, comincio a pensare di avere torto”. E con questa battuta vi saluto.

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