Ancora sulla vicenda banca d’italia

Con riferimento al mio “gessetto” del 31 gennaio qualche lettore mi ha scritto per far rilevare che la partecipazione delle banche andava rivalutata per il semplice motivo che i 300 milioni di lire del 1936 valgono molto di più oggi. Il problema è mal posto per i seguenti motivi:

1) Nel 1936 gli azionisti erano solo istituzioni finanziarie pubbliche, i precedenti azionisti privati furono “espropriati” delle loro quote;

2) Ciò fu la naturale conseguenza del fatto che con la legge del 1936 la Bit fu riconosciuta come ente di diritto pubblico, gli fu assegnata la funzione dell’emissione della moneta (il monopolio della monetazione gli venne riconosciuto sin dal 1926, ma si trattava di una “concessione”), gli fu vietato di operare con privati, poteva finanziare solo banche;

3) A quei tempi, il problema del valore delle partecipazioni non si poneva, sia perché erano tutte in mano pubblica, e sia perché l’attività della Bit era ancora molto limitata;

4) Successivamente, a seguito del processo di privatizzazione del settore creditizio quote importanti sono finite nella proprietà di istituzioni di diritto privato, inoltre l’attività della Bit si è oltre modo ampliato. Questo ha comportato l’emergere di una contraddizione: dei soggetti privati lucrano su un’attività pubblica;

5) Infatti, come ha prodotto e come produce gli utili la Bit? Attraverso operazioni di politica monetaria. Mi spiego. Quando un istituto centrale decide di immettere moneta nel sistema economico non è che sale su un elicottero e lancia mazzette di banconote, lo fa essenzialmente attraverso tre strade (oggi tutto questo avviene sotto l’egida della Bce):

a) Operazioni di mercato aperto: compra titoli dal mercato o detenuti nei portafogli delle banche;

b) Amplia le linee di credito a favore delle banche;

c) Compra oro sul mercato;

6) Gli attivi acquisiti con le operazioni di cui sopra a) e b) rendono degli interessi e questi vanno a rimpinguare il conto economico. La maggior parte degli utili poi vengono portati a riserva e così il patrimonio nel tempo è aumentato e ha generato altri acquisti di titoli che hanno prodotto altri interessi;

7) È del tutto evidente che gli utili della Bit derivino da un’attività pubblica detta di “signoraggio”, cioè dal suo potere di battere moneta, e non ha niente di “imprenditoriale”, che giustificherebbe i dividendi. La cosa poteva anche essere considerata indifferente, ma fino a un certo punto, se gli azionisti fossero stati soltanto enti pubblici, ma non lo è assolutamente se azionisti sono dei soggetti privati. Sarebbe come privatizzare l’Agenzia delle Entrate e poi con i soldi delle imposte comprare titoli e distribuire dividendi.

Spero di aver fornito altri elementi per spiegare perché ritengo l’operazione di rivalutazione della partecipazione Bit una buffonata, e mi fa specie che il governatore Visco la vada difendendo pubblicamente. Fossi in lui me ne starei zitto e farei la parte di chi l’ha dovuta subire (anche se questo comunque non l’avrebbe assolto). Mentre altro discorso è il significato della presenza di banche private nell’azionariato, la quale si giustifica con quell’esigenza di “equilibrio” di cui ho parlato nel precedente “gessetto”. Ma la partecipazione deve avere un valore simbolico.

4/2/14

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