CONVEGNI/Precari, freelance, la carta di Firenze e i masochisti

Ultimamente si confonde un po’‚ troppo il termine freelance, con quello di precario e con quello, non detto, ma diciamo che ne è una sottomarca del precario/freelance, del masochista.

Ma andiamo per gradi. Chi è un freelance? Il freelance è un libero professionista che non anela al posto fisso presso una testata, che non collabora solo con un giornale/radio/televisione, che non è ricattabile da un editore. In sintesi, il giornalista freelance è libero.

Libero? Certo, non totalmente. Nessuno lo è, ma sicuramente, non dipendendo da una sola testata e non essendo pagato un tanto al pezzo quotidianamente, fornisce tutt’altro tipo di servizio alla testata di riferimento. Un servizio di solito qualitativamente molto alto, che siano immagini, testo, o servizi per le radio.

Ci sono freelance che non hanno il tesserino e che lavorano all’estero soprattutto con testate internazionali. Ci sono fotoreporter e producer italiani senza nessun tipo di tesserino o affiliazione all’Ordine dei Giornalisti o al sindacato della Fnsi che forniscono materiale di altissima qualità alle agenzie di stampa internazionali o ai più grandi riviste italiane e straniere. E ci sono anche giornalisti dipendenti che hanno una professionalità altissima.

Spesso chi sta in redazione, soprattutto negli esteri, è costretto a starci perchè il quotidiano, per motivi tra loro diversissimi e dei quali non staremo adesso a parlarne, non manda i suoi fuori‚ preferendo utilizzare i freelance.

Il precario invece in genere è un giornalista che lavora più o meno stabilmente con una o più testate (ma generalmente una con la quale spesso ha una soprta di contratto d’esclusiva) e alle quali fornisce un servizio continuo nel tempo. Questo ad esempio può valere per la cronaca cittadina o per un precario della Rai.

Qui c’è la ferita aperta della quale si parla poco e male, quella della sovrappopolazione della categoria dei giornalisti. Il giornalista precario è sotto schiaffo dell’editore? Si e no, perchè come tutti, può benissimo decidere di interrompere il servizio se ritiene che il suo lavoro sia pagato poco o in maniera risibile rispetto al lavoro svolto.

Ma se una persona viene pagata poco o nulla e continua a voler mantenere un rapporto lavorativo con la sua testata di riferimento è un masochista, e qui arriviamo all’anello debole del settore dell’informazione.

L’hanno già detto in molti ma nessuno pare volerlo accettare: ci sono troppi giornalisti per un mercato che ne può far lavorare forse un terzo. In qualsiasi altro lavoro se non c’è domanda uno cambia settore. Da noi no. Se sei giornalista (pubblicista, professionista, o aspirante di uno dei due tesserini) la tua missione è quella, anche se muori di fame e scrivi da far pena o magari scrivi molto bene ma le cose di cui scrivi, qualitativamente, sono rimpiazzabili con quelle di qualunque altro.

In queste condizioni prendendo 5 euro a pezzo, una persona sana di mente direbbe: “Beh sai che c’è? Vaffanculo!”. E cambierebbe mestiere. Qualunque altro lavoro in queste condizioni da pezzenti è pagato meglio. E‚ che siamo tutti presuntuosi, dei piccoli vanesi in cerca di gloria e non accettiamo di sapere che magari, in fondo in fondo, questo non è il nostro lavoro. Che non siamo tutti grandi penne, che spesso le cose che scriviamo fanno pena.

E allora poi si tirano fuori i nepotismi, tizio che è favorito e io no anche se “Io‚ sono il più bravo del mondo ma tanto, tanto sfortunato che non mi nota nessuno!” e tutta una serie di piagnistei. A volte motivati, altre no.

La Giunta Esecutiva, il Consiglio Direttivo, la Commissione regionale lavoro autonomo e la Consulta dei freelance dell’Associazione Stampa Romana alla manifestazione  del 7 e 8 ottobre “Giornalismi e giornalisti per la dignità della professione” portano un documento dove non c’è traccia di limitazione delle scuole di giornalismo, non si spiega che siamo in troppi a fare questo lavoro, che si dovrebbe limitare l’accesso all’ordine, eliminando coloro che non esercitano o svolgono altre attività, o in alternativa dare il tesserino solo a chi esercita a tempo pieno (per quello che vale il tesserino), nel documento sembra di sentiore le fanfare dell’Autonomia‚ degli anni ’70, lavorare meno ma lavorare tutti.

E chi l’ha detto? Chi l’ha deciso che tutti devono lavorare? Nel documento si parla di compensi che devono essere pattuiti per iscritto all’atto del conferimento dell’incarico, prendendo come riferimento le tariffe professionali. Splendido, però a me per esempio non serve a nulla.

Il mio compenso può anche essere aumentato in corso d’opera, l’accordo è sempre scritto tra le parti e non necessito di compensi minimi, non necessito di lettere con conferimento di incarico (a meno che non sia per un lavoro ad hoc strutturato su più giorni) , etcetc e torniamo al solito discorso che questo documento vale solo per i precari di cui sopra.

E se scrivi poi di merda? E se i tuoi pezzi fanno pena e devono essere cestinati? Li si paga lo stesso? O valgono giusto 5 euro e io editore che devono rienpire le pagine su un quotidiano inutile butto dentro tutto quello che trovo? Più avanti nel documento si legge: “Vanno sostenuti e sollecitati sgravi fiscali per le testate che stabilizzano i lavoratori”.

“Ma va anche creata una rete di protezione, da studiare insieme a Inpgi e Casagit, e da proporre al tavolo di concertazione tra editori, sindacato e governo: dagli ammortizzatori sociali per i precari e i Cococo a una sorta di fondo/tesoretto di solidarietà che permetterebbe di erogare ai colleghi in difficoltà, in caso di discontinuità del lavoro o di malattia, una sorta di minireddito/sussidio sociale o prestiti a tasso zero”.

Non si capisce poi perchè dovrebbero essere favoriti i collaboratori che hanno un rapporto continuativo con le testate rispetto ai freelance, quando anche i freelance sono COLLABORATORI.

Se scrivono per tre mesi di fila Anche qui tante parole ma se poi la massa di questi giornalisti precari dice che non ce la fa neanche a versare all’Inpgi i contributi minimi (max 270 euro annui) di che fondi stiano parlando?

Perchè il documento, seppur carino e pieno di buoni propositi, ancora una volta sorvola sul fatto che non si può far lavorare tutti e non cita nemmeno la necessità della creazione di un Organismo di Base di precari e freelance (dal quale dovrebbero fortemente astenersi i giornalisti masochisti)?

Finito l’incontro di Firenze i risultati sono stati tiepidi e la carta poco incisiva. Tutto come nella norma. Le basi sono buone, ma c’è molto ancora da fare.

 

Cristiano Tinazzi

 

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