CONTRATTO/Sul distacco, gli edili meglio di noi

E’ uno dei bocconi più amari del contratto. La pistola caricata e posata sul tavolo, pronta ad essere usata contro i giornalisti scomodi.

La minaccia all’autonomia che viene indirizzata ai piani bassi e intermedi della redazione, mentre per gli incarichi apicali c’è pronto il licenziamento dei vicedirettori, a far capire dove va attaccato l’asino. Non righi dritto, non scrivi quello che vogliamo noi, remi controcorrente? Ti mandiamo “fino a due anni” (leggi: per due anni) al confino, in un’altra testata del gruppo.

Se trascorso questo periodo non ti va di essere dirottato da un’altra parte, ti concediamo una tregua di qualche mese, dopodiché rifai le valigie. A meno che tu non abbia capito l’antifona e decida di togliere il disturbo una volta per tutte.

Si chiama distacco questa incredibile concessione che abbiamo fatto agli editori al tavolo delle trattative. Quando ti tocca, non puoi sottrarti, perché non è richiesto il consenso del giornalista.

Cambi vita con preavviso di due mesi, se lo spostamento è superiore ai 40 chilometri, e un mese se è al di sotto.

Un regalo alla Fieg, che non ha nulla a che fare con la crisi economica che incombe e richiede comprensione da parte dei giornalisti. Non sono in gioco i soldi ma le tutele, che in un momento di crisi andrebbero rafforzate. Qui, invece, se ti rifiuti di andare, parte un licenziamento per giusta causa, sul quale è stato per giunta previsto che i Comitati di redazione non possano più proferire parola.

Il distacco appare come l’esempio più sfrontato, in tutto il contratto, della radicale modifica dei rapporti all’interno delle redazioni a vantaggio dei padroni del vapore, editori tutt’altro che puri, con interessi in molti altri settori.

L’articolo 21 della Costituzione se ne va in soffitta.

E non importa neppure che il distacco venga realmente deciso: basta e avanza la forza dissuasiva di questa norma minacciosa. Ci vogliono eroi, a questo punto, per non piegare la schiena.

Ci hanno detto: ma è la Legge Biagi che prevede il distacco, come potevamo sottrarci? A noi sembrava paradossale che una professione intellettuale come quella del giornalista, in cui si opera con una merce delicata e sensibile, fondamentale per il buon funzionamento della democrazia, come l’informazione, potesse venir condizionata da un provvedimento di questo genere.

Non è certo ai giornalisti che Biagi pensava, concependo il distacco. Avevamo ragione. Abbiamo sollecitato una veloce ricerca da parte del Cref, un centro specializzato in consulenza e assistenza legale su lavoro, previdenza e sindacato, con sede a Roma, e in nessuno dei contratti in qualche modo assimilabili al nostro viene applicato il distacco della Legge Biagi.

Non in quello della dirigenza del commercio, non per la dirigenza del settore bancario, sia Abi sia credito cooperativo, e nemmeno in quello dei dirigenti industriali. I nostri interlocutori sono rimasti sbalorditi che sia invece approdato in una professione come la nostra. E non gli avevamo ancora detto che l’ipotesi d’accordo del nuovo contratto prevede persino il lavoro in affitto, quasi i giornalisti fossero addetti ai call center, o alle imprese di pulizia.

Abbiamo chiesto se almeno nel manifatturiero il distacco venisse applicato. Ci hanno messo un po’ a trovare un contratto che lo prevedesse. Poi alla fine il Cref lo ha tirato fuori: quello degli edili, siglato nel 2004, dunque dopo la legge Biagi, e scaduto nel 2007. C’è un piccolo particolare, però. E’ migliore del nostro.

Ecco infatti quanto prevede il primo comma dell’articolo 96 di quel contratto: “Nell’ambito di quanto consentito dal sistema legislativo e dalla prassi giuridica, il lavoratore edile può essere temporaneamente distaccato, previo suo consenso e con mansioni equivalenti, da un’impresa edile ad un’altra, qualora esista l’interesse economico produttivo dell’impresa distaccante, anche con riguardo alla salvaguardia delle proprie professionalità, a che il lavoratore svolga la propria attività a favore dell’impresa distaccataria”.

Questo significa migliorare con il contratto di lavoro una norma di legge. Nell’edilizia, fra l’altro, il distacco sembra molto più sensato, visto che il lavoro si sposta spesso nel territorio.

Che succede invece a noi, muratori delle notizie? Succede, guarda un po’, che il consenso del giornalista non è richiesto. L’equivalenza delle mansioni annaspa, perché un altro articolo alquanto equivoco, il numero 11, sembra poter ammettere che un professionista di profonda competenza e specializzazione, che si occupava di giudiziaria in una grande città, seguendo magari processi di cui erano imputati imprenditori, oppure uomini politici, possa passare a occuparsi di volley in un centro di provincia.

E, incredibilmente, non è stata nemmeno prevista la tutela sindacale per i cdr, richiamata esplicitamente, invece, quando si tratta di trasferimento. La tutela della testata che distacca, non è contemplata: è infatti il direttore della testata “interessata” a ottenere il distacco, che chiede il giornalista: proprio quel giornalista lì. Chissà come lo conosce, quando lo ha visto all’opera, e chissà quale potere ha di opporsi il direttore della testata che distacca, il quale appare palesemente depotenziato dal contratto. E’ evidente che fa tutto l’azienda. Il minimo che si possa dire, è che questa norma è un pasticcio.

Ma il paradosso è aver scritto che il distacco è “fino a due anni”: un’eternità. Un redattore di un giornale x potrebbe dover trasferirsi alla redazione di un giornale y, distante centinaia di chilometri, con due mesi di preavviso, portandosi dietro moglie, il figlio che fa la quinta elementare e l’altro che è in prima media. E dopo due anni si cambia. Ah già, ma c’è un grande incentivo che consentirebbe di trangugiare questa amarissima medicina: due giorni due di permesso retribuito, due mensilità, e un’equa indennità aziendale che si ridurrà ad una mancia una tantum. E stai contento, tu e la tua famiglia, per due anni.

Questo significa forse migliorare una norma di legge? Non scherziamo. L’istituto del distacco coattivo doveva essere respinto, in quanto inconcepibile per la nostra professione.

Con l’accordo delle parti in causa, può già avvenire oggi, e rappresentare in vari casi anche un’opportunità: ma non v’era alcun bisogno di inserirlo nel testo del contratto. Se proprio i rapporti di forza, anzi di debolezza, impedivano alla Fnsi di respingerlo, bisognava allora prevederlo per un periodo massimo di quattro o sei mesi, tenendone fuori i rappresentanti sindacali. Poi l’azienda, quel buco d’organico che ha, avrebbe dovuto colmarlo con un’assunzione.

Ma non c’è nulla, nel contratto, che vincoli gli editori ad assumere. Il suo vero motore è al contrario il licenziamento delle professionalità dotate di maggiore esperienza, senza nemmeno ottenere in cambio una quota di assunzioni a tempo indeterminato. Perché ogni buco va colmato utilizzando chi già c’è: se articolo 1, che fornisca obbligatoriamente e gratis servizi multimediali, come lo Charlot di “Tempi moderni” e altrettanto obbligatoriamente e gratis ceda articoli ad altre testate del gruppo.

Se part-time, aumenti il suo orario di lavoro fino al 30 per cento. Se ha invece un contratto a tempo determinato, questo non duri più di 36 mesi: tanto, fuori, l’offerta di lavoro fornita dallo sterminato esercito di riserva sfornato da scuole e università di giornalismo è così vasta, che si può facilmente cambiare cavallo.

Corrado Giustiniani
Cdr “Il Messaggero”
Consigliere nazionale Fnsi

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