No al bavaglio per l’informazione!

BavaglioOra a dirlo sono anche gli editori: il disegno di legge del ministro Alfano sulle intercettazioni telefoniche è una mannaia per loro e un bavaglio per l’informazione. E infatti se la minaccia delle manette per i giornalisti è stata – bontà loro – cancellata, diradata la nebbia degli emendamenti si vede che le sanzioni rimangono molto pesanti: fino a 10.000 euro di ammenda per il cronista, ma quasi cinquecentomila per l’editore.  Perfino la Fieg ha dovuto denunciare che i proprietari dei giornali saranno costretti a intervenire sui contenuti degli articolo, costretti cioè a violare le prerogative dei direttori delle singole testate mettendo mano alla censura preventiva: proprio quella contro la quale presidente della Corte Costituzionale, Giovanni Maria Flick ha lanciato l’allarme mettendo tutti in guardia.

Il disegno di legge Alfano vuole mettere la mordacchia all’informazione per affiancare la strategia berlusconiana di bavaglio anche alla magistratura, con la quale l’attuale capo del governo ha un contenzioso così lungo e, per sua stessa ammissione,  talmente notoriamente avvelenato da costituire di fatto un altro clamoroso conflitto di interessi che in qualunque altro Paese civile gli renderebbe inagibile palazzo Chigi oggi e il Quirinale domani. Il diritto costituzionale dei cittadini ad essere informati e il dovere professionale dei giornalisti di informare sono impediti dalla scelta del governo di non modificare le linee di fondo del disegno di legge ben oltre il ridimensionamento della possibilità di eseguire intercettazioni telefoniche. Si vuole infatti proibire alla base la cronaca giudiziaria, vietando la pubblicazione (“anche parziale, o per riassunto o nel contenuto”, e “anche se non sussiste più il segreto”) degli atti di indagine fino al termine dell’udienza preliminare.

Con la scusa della privacy si sferra in realtà l’attacco più grave, ignorando bellamente che i nostri organi di categoria rappresentativi hanno dato piena disponibilità a rendere più incisive, se necessario, le norme di autoregolamentazione per salvaguardarla. Che senso ha invocare la sfera privata quando si tratta di scalate bancarie o del crack Parmalat o dello scandalo del calcio o della clinica Santa Rita? Nessuno. E si tratta di vicende non portate come esempio teorico, bensì di vicende tra quelle realmente accadute e forse neppure delle più gravi. Se la proposta Alfano fosse già stata legge in vigore, i cittadini italiani avrebbero potuto conoscere i loro retroscena e le varie responsabilità solo con anni di ritardo, vanificando così tanto il diritto all’informazione quanto il ruolo di accorta vigilanza dell’opinione pubblica.

Il gigantesco esproprio che si prepara non è solo ai danni di noi giornalisti, ma ai danni dell’intera comunità civile. Sarò infatti castrato il suo diritto di essere messa tempestivamente al corrente di fatti di assoluta rilevanza sociale, che nulla hanno a che spartire con il pettegolezzo o con il gossip presi a pretesto per mandare in porto una mistificazione politica fin troppo interessata. Il presidente della Fnsi Roberto Natale fa rilevare che “il   Presidente del Consiglio ama ripetere che, nei suoi comizi, nessuno alza la mano quando lui chiede chi sia sicuro di non essere intercettato”, ma gli consiglia “di aggiungere un’altra domanda: chiedere alla piazza chi avrebbe rinunciato a sapere di Moggi, di Antonio Fazio, di una truffa ai danni dei piccoli risparmiatori, dei trapianti disposti da medici senza scrupoli”.

A conti fatti, è in pericolo la qualità delle nostra democrazia. Abbiamo il dovere di riuscire a farlo capire a tutti. Agli editori, con i quali a parole c’è  un’ampia concordanza e un allarme comune, che però attendono di essere tradotti in iniziative e in fatti concreti, visibili, incisivi assieme a noi giornalisti. Sia noi che loro siamo tutti consapevoli che per la vita dell’informazione il diritto di fare cronaca non è un optional, non è un accessorio buono per il gossip, ma è invece essenziale forse più degli ammortizzatori sociali per il settore, sui quali il governo è invece disponibile sia pure entro certi limiti. Ma dobbiamo riuscire a farlo capire anche ai lettori, spettatori e ascoltatori dei vari mass media, da quella su carta stampata a quella on line in Internet, da quella radiofonica a quella televisiva. Quale altro tema ci permette di presentarci a loro tutti, cioè all’intera opinione pubblica italiana, come titolari e difensori di un diritto non solo nostro ma della collettività in blocco?

In questa battaglia siamo sicuramente dalla parte dell’interesse generale, nessuno ci può certo accusare di corporativismo o interesse particulare. Anche se siamo già sotto pressione da molto tempo per il mancato rinnovo del contratto nazionale collettivo di lavoro, non possiamo, non dobbiamo e non vogliamo precluderci nessuno strumento sindacale e nessuna iniziativa per scongiurare a tutti i costi una legge truffa che è anche una legge bavaglio.

Senza Bavaglio

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