Paga, oppure ti cancello. Ma nessuno si chiede perché è sempre più difficile pagare

Avvertenza: I personaggi e i fatti riportati nelle pagine del “Diario di Piero” sono immaginari ma autentica è la realtà che li produce.

Milano, 18 luglio – Il mio amico Matteo Piovani, 38 anni, è decisamente depresso. È un vero giornalista freelance, un ottimo professionista che all’estero guadagnerebbe un sacco di soldi ma dalle nostre parti oramai è trattato alla stregua di un “precario”. Secondo la cultura predominante è un giornalista soltanto chi lavora in redazione con un contratto a tempo indeterminato. Piovani mi ha raccontato che la situazione dei giornalisti liberi professionisti è peggiorata. Il termine “freelance” è sempre più usato per indicare erroneamente diverse attività giornalistiche, con l’evidente complicità di chi dovrebbe tutelare l’intera categoria, soprattutto sotto il profilo sindacale. Le occasioni di lavoro si sono ridotte in maniera vertiginosa, da un lato per la sedicente crisi dell’editoria, dall’altro perché oramai tutte redazioni (dal grande quotidiano al bollettino della parrocchia di provincia) abusano degli stagisti. Si tratta di giovani aspiranti giornalisti, in gran parte provenienti dalle scuole o dalle università, che sono mandati a flotte nelle redazioni ufficialmente per imparare il mestiere. In realtà, sono impiegati a tempo pieno e a costo zero per svolgere attività giornalistica.


Basterebbe seguire qualche conferenza stampa ma soprattutto effettuare a sorpresa dei controlli rigidi e periodici nelle redazioni per scoprire anche questo tipo di abuso ma è improbabile che ciò avvenga. In fondo gli stagisti sono una pacchia per molte persone e da più punti di vista. Non ha importanza se l’abuso compromette la qualità di una testata e  riduce le opportunità di lavoro per i giornalisti disoccupati e per i giornalisti freelance.

Matteo Piovani lavora per diverse e importanti testate giornalistiche di Milano, occupandosi di cronaca, attualità ed economia. Ha sempre fatturato non meno di 80 mila euro netti l’anno ma negli ultimi due anni i suoi guadagni si sono progressivamente ridotti del 70%. Alcune testate hanno dimezzato gli importi per i servizi, altre hanno interrotto  bruscamente la collaborazione perché adesso utilizzano decine di cosiddetti stagisti. Per quale ragione dovrebbero continuare a pagare Matteo che è un giornalista professionista, quando possono fare svolgere lo stesso lavoro a costo zero da un giovane stagista? La qualità dei servizi non interessa più a nessuno e in fondo oggi più di ieri i giornali servono soltanto per veicolare la pubblicità. I contenuti meriterebbero un discorso a parte ma basta pensare che anche le riviste più prestigiose hanno iniziato a dedicare le copertine a servizi pruriginosi su culi, tette, amplessi e dimensioni del pene.

Nelle redazioni più grandi si contrno centinaia di stagisti che si muovono freneticamente come formiche operaie. Sono impiegati per seguire (senza il supporto di un giornalista) anche i fatti più gravi di cronaca. Nessuno interviene per ristabilire l’ordine. È sacrosanto avere degli stagisti in redazione (in numero assai limitato) ma non per sostituire a costo zero dei giornalisti. A chi giova veramente questa situazione? A chi? Piovani mi ha spiegato che, intanto, i freelance sono tartassati dallo Stato e dalle associazioni della categoria.

Nessuno si occupa dei loro problemi che sono gravi ed urgenti da risolvere da più punti di vista.
Il Fisco, congli studi di settore, passa periodicamente ai raggi X i giornalisti liberi professionisti e se questi non  guadagnano abbastanza, secondo un contorto sistema, scattano in automatico accertamenti e spesso la richiesta di tasse e penali su importi mai ricavati.

Chi lo spiega al Fisco che il giornalismo è diventato un far west dove a farla da padrona sono gli editori e i furbastri? Chi lo spiega che uno stesso articolo, a seconda della testata, può essere pagato (spesso a 90 giorni) 10 euro o 500 euro? Chi lo spiega che è in corso un tentativo per trasformare definitivamente il giornalista in una sorta di debole impiegato?
Se un giornalista si rivolge alle associazioni di categoria per denunciare certe situazioni è trattato alla stregua di un coglione: “È colpa tua? Esiste un tariffario che devi fare rispettare. Devi imporre il pagamento nei giusti tempi” oppure “Di cosa ti lamenti? Tu almeno sei assunto. Lavori in redazione. Sei fortunato” o “Stiamo facendo il possibile”. Ignorano o anno finta di ignorare che un giornalista da solo è destinato sempre a perdere contro l’editore o l’ultimo caporedattore.

Le associazioni di categoria invece si attivano con energ

ia e impegno solo quando si tratta di recuperare denaro, tasse, balzelli, quote annuali. Matteo Piovani, pur di rispettare le scadenze è pronto a togliersi il pane dalla bocca. Lo fanno molti colleghi ma poi arrivano delle note ufficiali che fanno veramente cadere le braccia, dove in pratica si intima ai ritardatari di pagare pena la cancellazione o penali salatissime. Non sarebbe più corretto chiedersi per quale ragione ci sono giornalisti che non riescono più a pagare alla scadenza stabilita tasse, quote e balzelli vari, anziché ricorrere al sistema: “Se non paghi ti cancello”. Sono tutti menefreghisti o esiste un grave problema di fondo? Si tratta di persone che non svolgono più attività giornalistica? Piovani è pronto a scommettere che molti dei ritardatari sono proprio coloro che siedono in redazione con contratti a tempo indeterminato.

È anche vero che non è obbligatorio fare il giornalista, come si sostiene da più parti. Ma come fanno le migliaia di persone che hanno iniziato a fare questo mestiere quando ancora il sistema non era così degenerato? Persone che spesso sono state strappate dalle Università, magari ad un passo dell’esame di laurea, perché qualche caporedattore ha riempito loro la testa di frottole sul giornalismo al solo scopo di sfruttarli per 14 ore al giorno. Allo stato attuale molte cose non funzionano. Anche le migliaia di stagisti tra qualche mese, un anno massimo, diventeranno giornalisti e se non apparteranno a certe lobby di potere vivranno gli stessi problemi. Saranno rimpiazzati da altri stagisti, da “carne giovane, fresca e gratis”. Le soluzioni? Si continuano a mettere o promuovere nuovi steccati per limitare l’accesso alla professione, alcuni assai discutibili perché tendono palesemente a favorire soltanto i benestanti e i raccomandati.

Il vero problema è che le regole devono valere per tutti, altrimenti in questa società andranno avanti soltanto i “miracolati”, spesso anche benestanti, a scapito dell’intero sistema che crollerà travolgendo buoni e cattivi. Matteo, però, mi ha detto che è meglio non alzare troppo la voce, non esprimere il proprio parere, altrimenti si rischia di essere schiacciati come insetti fastidiosi soprattutto se privi di adeguate “protezioni”. Per non avere problemi è meglio seguire la vecchia e sacrosanta regola: “Non vedo, non sento, non parlo”. È anche vero che diverse persone, all’interno delle associazioni di categoria, lavorano per tentare di risolvere i tanti problemi e rilanciare la professione giornalistica ma non basta. Sarebbe opportuno usare le maniere forti, molto forti, nei confronti dei direttori e degli editori, anziché pressare il singolo e “debole” giornalista.

È tutto per oggi

Danilo Lenzo

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